Il momento difficile del Rublo delle ultime settimane ha richiamato alla memoria la crisi finanziaria russa del 1998. All'epoca, l'effetto provocato dalla turbolenza valutaria fu rovinoso per la popolazione che precipitò nella miseria più nera. Raccontiamo quindi come si svolsero i fatti e come fu poi superata quella drammatica situazione.
Crisi finanziaria russa: le origini
Il 17 agosto del 1998 il Governo russo dichiarò il default sul debito, raggiunto ormai a livelli insostenibili. La prima guerra in Cecenia svoltasi tra il 1994 e il 1996 aveva inciso in maniera pesante sulle finanze del Paese, con un costo solo per il conflitto di 5,5 miliardi di dollari. A quello si aggiunsero poi le spese per la ricostruzione dell'economia cecena che era caduta in rovina.
Non ebbe neppure il tempo di riprendersi, che la Russia tornò nuovamente nel baratro a causa di due eventi in qualche modo interconnessi: la crisi finanziaria asiatica del 1997 e il calo del prezzo del petrolio che ebbe un impatto deleterio per uno dei più grossi esportatori di greggio al mondo.
La crisi di produttività generò una crepa profonda nel cuore dell'economia russa, associata a una crisi politica. Nel Paese si manifestavano frequenti fughe di capitali che andavano a intaccare le riserve valutarie della Nazione. Il mercato esercitava una forte pressione sul Rublo che venne tenuto in piedi dall'aumento dei tassi di interesse fino al 150% sui GKO, ossia i titoli di Stato a breve termine.
Nel contempo, per tentare di stabilizzare la traballante economia del Paese guidato allora da Boris Yeltsin, il 13 luglio 1998 l'FMI e la Banca Mondiale erogarono 22,6 miliardi di dollari di finanziamento. I fondi furono utilizzati per sostenere le riforme del Governo.
Crisi finanziaria russa: il Rublo fuori controllo
La situazione a Mosca correva però sul filo del rasoio. I lavoratori non venivano pagati e il 1° agosto del 1998 erano già 12,5 miliardi di dollari i debiti maturati nei loro confronti da parte dello Stato. Come se non bastasse, gli interessi sul debito pubblico rendevano l'esposizione debitoria insostenibile, in quanto le tasse non erano sufficienti per coprire le spese mensili.
Le tensioni sociali ebbero un'escalation pericolosa quando il 12 maggio 1998 i minatori di carbone organizzarono uno sciopero e bloccarono la ferrovia Transiberiana. Il Rublo, che fino ad allora era stato ancorato a un cambio fisso con il Dollaro USA, fu deciso di farlo fluttuare entro una fascia ristretta. Qualora minacciasse di uscire al di fuori dell'intervallo, fissato a 5,3-7,1, la Banca Centrale sarebbe intervenuta per riportarlo all'interno.
Il Governo non riuscì ad attuare le riforme economiche programmate e gli investitori si liberarono di rubli e di tutte le attività denominate nella valuta russa. Questo comportò una pressione enorme nei confronti della moneta, il che costrinse l'istituto centrale a ricorrere a una grande quantità di riserve per impedirne l'eccessiva svalutazione. Pur di mantenere fede all'ancoraggio rispetto al Dollaro USA, si conta che la Banca di Mosca abbia speso qualcosa come 27 miliardi di dollari delle sue riserve nella moneta americana.
Crisi finanziaria russa: il giorno del crollo
Il 17 agosto 1998 arrivò l'annuncio che gli investitori non avrebbero mai voluto udire: il Governo russo si considerò inadempiente sul debito interno e si dichiarò moroso per quello estero. Inoltre, insieme alla Banca Centrale diffuse un comunicato con il quale il Rublo poteva oscillare rispetto al Dollaro USA entro un range di prezzi più largo, ossia 6-9,5. Infine veniva consentita una maggiore libertà di movimenti all'interno della fascia stabilita.
Fino ad allora vi era un istituto, il Moscow Interbank Currency Exchange, più comunemente conosciuto come MICEX, che fissava un tasso di cambio giornaliero ufficiale in base a delle aste basate su offerte scritte da acquirenti e venditori. Ecco, a partire dal 17 agosto il Rublo si era costantemente deprezzato sul MICEX passando da una quotazione USD/RUB di 6,43 a una di 7,86 nell'arco di una settimana.
Così, il 26 agosto la Banca Centrale interruppe le negoziazioni al MICEX e non fissò il tasso di cambio con il Dollaro USA. Il 2 settembre arrivò una decisione molto forte: l'istituto monetario rimosse qualsiasi limite e lasciò fluttuare liberamente il Rublo. Sui mercati valutari si scatenò una tempesta di proporzioni enormi e il 21 settembre 1998 l'USD/RUB raggiunse quota 21. L'inflazione aumentò dell'84% gettando nella povertà 43 milioni di russi.
Lo Stato eseguì una sorta di ristrutturazione del debito, dove alcuni titoli del debito pubblico a breve scadenza, come i GKO e gli OFZ, furono trasformati in titoli a più lungo termine. Questo non impedì una crisi bancaria che vide la decapitazione di alcuni importanti istituti di credito come Inkombank , Oneximbank e Tokobank, che avevano in pancia svariati miliardi di titoli russi.
Crisi finanziaria russa: la fine di Yeltsin e la ripresa economica
L'effetto più diretto del tracollo finanziario della Russia fu il declino del potere di Boris Yeltsin il quale, al centro di faide interne anche allo stesso schieramento politico, fu invitato spesso a rassegnare le sue dimissioni. Con l'arrivo di Putin come successore di Yeltsin, la Federazione Russa recuperò stabilità politica e iniziò una veloce ripresa, grazie soprattutto alla crescita dei prezzi del petrolio nel biennio '99-00.
Paradossalmente, la svalutazione del Rublo fu anche molto vantaggiosa per le imprese alimentari che esportavano all'estero e che divennero estremamente competitive. Una delle ragioni della rapida crescita dell'economia russa fu dovuta al fatto che i produttori erano poco dipendenti dal sistema bancario perché l'economia stessa si reggeva molto su strumenti di scambio non monetari.
Questo significò che, quando le banche andarono in default, le imprese non ne risentirono troppo. Infine gli aiuti economici arrivati a Mosca, permisero alle imprese russe di pagare i salari arretrati e le tasse dovute. Quindi gettarono le basi per la rinascita del Paese.