I mercati azionari recentemente sono stati scossi da un'ondata di vendite e una delle ragioni principali è da ascrivere alla liquidazione delle operazioni di carry trade aventi come riferimento lo yen. Un numero elevato di grandi investitori aveva messo in piedi una strategia attraverso cui una quantità massiccia di denaro denominata nella valuta giapponese era stata presa in prestito per effettuare investimenti in asset redditizi. Una volta che si sono create determinate condizioni, la strategia è stata abbandonata e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Carry trade: cos'è e come funziona
Il carry trade è un'operazione attraverso cui un operatore di mercato prende a prestito attraverso attività che hanno un costo molto basso per investire in altre che garantiscono un reddito più elevato. Questa formula è molto adottata nel mercato valutario, dove i trader si finanziano in valute che pagano rendimenti contenuti per acquistare divise che invece producono un rendimento più alto. In questo modo, gli operatori guadagnano dallo spread tra i due tassi.
Affinché la strategia sia profittevole, però, è necessario che l'andamento delle due valute non sia contrario al punto da compensare i profitti ottenuti dal differenziale di rendimento. Più precisamente, la valuta che è stata presa a prestito non deve rafforzarsi in termini percentuali rispetto a quella sulla quale si è investito più di quanto è il delta dei tassi. Se ad esempio, si prende a prestito 1 milione di euro sostenendo un tasso del 4%, per investirlo nell'equivalente in dollari che garantisce un rendimento del 5%, è necessario che il cambio EUR/USD non salga più dell'1% per non andare in perdita.
Carry trade in yen: come è stato costruito
Negli ultimi anni, il carry trade si è sviluppato in maniera eccezionale attraverso l'utilizzo dello yen come valuta di finanziamento. Il motivo è che la
Bank of Japan ha tenuto i tassi in territorio negativo dal 2016 fino a marzo del 2024. Quindi il denaro ricevuto in prestito nella moneta nipponica aveva un costo estremamente basso.
Ma dove è stato investito il denaro ricevuto? Principalmente in
dollari USA e in azioni. In dollari USA perché a partire da marzo 2022 la
Federal Reserve ha iniziato una serie di aumenti dei tassi di interesse fino a portarli nell'intervallo compreso tra 5,25% e 5,5%. Giocoforza, il ritorno dall'investimento in dollari era superiore di almeno 5 punti percentuali rispetto al costo del finanziamento.
La strategia ha funzionato a meraviglia perché il cambio USD/JPY ha continuato a salire ininterrottamente, fino a portarsi il 3 luglio al massimo del 1986 di 162. Quindi, non solo i trader guadagnavano dal carry trade, ma anche dal rafforzamento del dollaro USA (in cui avevano investito) rispetto allo yen giapponese (in cui avevano preso a prestito).
La divergenza della politica monetaria tra BoJ (ultra-accomodante) e Fed (ultra-restrittiva) rappresentava una garanzia granitica sulla ottima performance della strategia. Tra l'altro, una delle condizioni richieste per la riuscita del carry trade è quella di poca volatilità dei cambi sottostanti. L'USD/JPY è per tradizione un cross poco volatile.
Il carry trade in yen non si è basato come operazione long solo sule valute, in particolare il dollaro, ma anche su altri asset potenzialmente più redditizi come le azioni. Queste ultime hanno avuto per tanti anni il vento favorevole dei tassi di interesse bassi tenuti dalle principali Banche centrali di tutto il mondo, in particolare dopo le grandi crisi che hanno colpito i mercati finanziari a più riprese in oltre un decennio (2008 la crisi dei mutui subprime, 2011 la crisi dei debiti sovrani e 2020 la crisi pandemica). Recentemente hanno trovato spinta dal boom dell'intelligenza artificiale, che ha in particolare innescato un rally portentoso delle Big Tech a Wall Street.
Carry trade in yen: origini e sviluppo
La genesi del carry trade in yen può essere fatta risalire al periodo di fine anni '90/inizio millennio, quando avvenne lo scoppio della bolla dot-com e la Banca del Giappone portò i tassi di riferimento a zero. Da allora gli investitori giapponesi si rivolsero ai mercati internazionali per ottenere rendimenti più allettanti e trasformarono il Sol Levante nel Paese più creditore del mondo.
Con l'Abenomics del 2013 dell'ex primo ministro Shinzo Abe, che prevedeva una serie di stimoli fiscali e monetari mai visti per far uscire il Paese dalla deflazione, lo yen si è deprezzato fortemente e il carry trade ha coinvolto maggiormente gli investitori internazionali. A causa dell'aumento dei tassi Fed tra il 2022 e il 2023, il carry trade ha assunto proporzioni gigantesche.
Carry trade in yen: perché è imploso
Nel mese di agosto, il carry trade in yen si è sgretolato. Una quantità enorme di denaro è stata movimentata verso la chiusura dei prestiti in yen, con la conseguente vendita di dollari USA e azioni su cui si era investito. Il motivo principale è stato il rialzo dei tassi di interesse da parte della BoJ nella riunione del 30-31 luglio. In realtà il costo del denaro è aumentato solo di 25 punti base allo 0,25%
in Giappone, mentre negli Stati Uniti è ancora fermo al 5,25-5,50%. Tuttavia, il mercato sconta le aspettative future circa il percorso dei tassi di interesse. La Banca centrale nipponica è nella fase iniziale di un ciclo di strette, mentre la Fed da settembre probabilmente inizierà il ciclo dei tagli. Quanto alle azioni, gli investitori temono che l'economia americana scivoli in recessione, dopo che gli ultimi dati sull'occupazione hanno riportato un indebolimento oltre il previsto del mercato del lavoro.
Quanto sono grandi le operazioni
Perché si sia potuto vedere il trambusto di questi giorni, la portata delle operazioni è stata enorme. Gli hedge fund si sono affrettati ad aggiustare le posizioni nel carry trade e ciò ha comportato un rafforzamento poderoso dello yen (che è arrivato a guadagnare il 13% sul dollaro USA dai minimi del 3 luglio) e un tracollo in particolare delle azioni. La domanda che si fanno tutti è: sono terminate le liquidazioni? Per rispondere al quesito è necessario conoscere le dimensioni del carry trade. Nessuno però sa con esattezza il dato. I fattori da considerare sono molti e di cui non si hanno informazioni complete e totalmente attendibili.
Ad esempio, alcuni analisti stimano che il volume complessivo possa far riferimento ai circa 350 miliardi di dollari di prestiti esterni a breve termine delle banche giapponesi. Ma se alcuni di questi prestiti sono transazioni commerciali tra banche o semplicemente finanziamenti a imprese straniere che necessitano di yen (quindi non per fare carry trade), il numero è sopravvaluto.
D'altro canto, questo potrebbe essere sottovalutato se si considerano i miliardi di yen presi a prestito dagli operatori giapponesi per investire nei mercati nazionali. Inoltre, va considerata la leva finanziaria utilizzata dagli hedge fund e dai fondi computerizzati che amplifica le posizioni effettive. Infine, devono essere tenuti presente gli enormi investimenti che grosse entità giapponesi come fondi pensione, assicurazioni e altri investitori istituzionali hanno fatto all'estero.