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Accordo di Parigi: cos'è e cosa prevede

06 ott 2021 - 18:30

05 dic 2022 - 17:41

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Cos'è l'Accordo di Parigi? Cosa prevede? Qual è la sua origine? E' un accordo vincolante? Scopriamo tutto quello che c'è da sapere sul trattato firmato a Parigi nel 2015

L'accordo di Parigi è il primo patto universalmente riconosciuto e vincolante riguardo il cambiamento climatico. L'intesa è stata stipulata da 195 Stati facenti parte della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con lo scopo di ridurre l'emissione di sostanze inquinanti a partire dal 2020. Per raggiungere l'obiettivo tutti i Paesi devono impegnarsi affinché nel lungo periodo l'aumento della temperatura media globale si mantenga al di sotto dei 2°C, moltiplicando gli sforzi per arrivare al massimo a 1,5°C.


Accordo di Parigi: origine

Il 12 dicembre del 2015 195 delegati degli Stati della XXI Conferenza delle Parti dell'UNFCCC si sono riuniti a Le Bourget, nei pressi di Parigi, per negoziare un trattato di portata storica, alla luce del riscaldamento del pianeta che ormai aveva raggiunto livelli intollerabili per via dell'emissione di gas serra.

La conferenza è stata presieduta dall'allora Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, che dopo 2 settimane di negoziati ha decretato l'adozione definitiva del testo. Quest'ultimo in realtà rappresenta una prosecuzione del Protocollo di Kyoto, redatto 8 anni prima, che stabiliva l'obbligo per i Paesi industrializzati di ridurre nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012  l'emissione di CO2 almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990.

L'approvazione del documento a Parigi non è avvenuto senza scontri tra le varie parti. I Paesi che più di tutti risultavano esposti dai cambiamenti climatici, appoggiati dalle organizzazioni non governative, chiedevano che il limite di 1,5°C fosse fissato come tetto massimo e non come target ideale. A questa richiesta si opponevano gli Stati produttori di petrolio, interessati affinché si procedesse con maggiore gradualità.

Alla fine è stato trovato un compromesso grazie alla mediazione delle altre Nazioni. Il 22 aprile 2016 il testo è stato depositato presso le Nazioni Uniti a New York e da quel momento i Governi hanno avuto un anno di tempo per la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali. Di questi, 147 Paesi hanno effettuato il passaggio e il 4 novembre 2016 l'Accordo di Parigi è entrato ufficialmente in vigore. A novembre 2018 tutti i 195 Stati partecipanti alla conferenza hanno proceduto con la ratifica.


Accordo di Parigi: come raggiungere gli obiettivi

Per raggiungere gli obiettivi dei 2°C, ogni Governo doveva depositare gli Intended Nationally Determined Contributions, ossia una documentazione ufficiale attraverso cui venivano esposti gli impegni concreti per ridurre le emissioni inquinanti. Questo perché nella conferenza di Parigi non si erano imposte delle regole comuni onde evitare di far saltare il negoziato.

Tutto ciò ha difatti generato il caos poiché si è riscontrata una profonda divergenza sia riguardo la percentuale di riduzione di CO2, sia con riferimento alla tempistica. Secondo le associazioni ambientaliste l'obiettivo in quel modo non solo non sarebbe stato raggiunto, ma il riscaldamento globale si sarebbe mantenuto sopra i 3°C, con effetti devastanti per il pianeta.

I più estremisti hanno addirittura considerato tale accordo un bluff costituito solo da promesse e poche azioni. Le vibranti proteste hanno portato a un risultato concreto, ossia alla revisione degli INDC entro il 2018 e all'obbligo da parte dei membri di fare il punto sulle proprie emissioni.

Un altro aspetto molto controverso riguardava i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo per fronteggiare i danni provocati da eventi climatici avversi come piogge torrenziali, inondazioni e siccità. Il documento stabiliva un contributo di 100 miliardi di dollari entro il 2020 come limite minimo, con estensione al 2025. Altri obiettivi sarebbero stati fissati successivamente.


L'accordo di Parigi è vincolante?

La questione della forma giuridica è stata molto discussa e oggetto di polemiche sollevate soprattutto dalle organizzazioni ambientaliste. Dal punto di vista giuridico infatti nessuno è obbligato a fare nulla, ma vi è solo una pressione di carattere etico affinché gli Stati agiscano nella direzione di abbassare il livello delle sostanze inquinanti.

Difatti, se un Paese dovesse disattendere quanto firmato non andrebbe incontro ad alcuna sanzione. In ragione di questo, non è stato istituito un Tribunale o qualsiasi altro organismo per dipanare le controversie e condannare gli inadempienti. L'unico vero vincolo è la tempistica per l'abbandono del progetto da parte di ogni singolo Stato, stabilita in 4 anni.


Accordo di Parigi: la posizione degli Stati Uniti

Sull'accordo di Parigi è piombato come un fulmine l'ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che il 1° giugno del 2017 aveva annunciato l'abbandono degli USA al trattato. Durante una conferenza tenuta alla Casa Bianca, il tycoon aveva contestato il documento bollandolo come un atto che avrebbe danneggiato le imprese statunitensi dei combustibili fossili e favorito gli interessi della Cina.

Trump aggiunse che se gli Stati Uniti fossero rimasti dentro quel patto avrebbero causato la perdita di milioni di posti di lavoro. Le minacce del leader newyorchese hanno trovato concretezza il 3 novembre 2020, nel pieno delle elezioni presidenziali, con la notifica del ritiro dall'Accordo di Parigi.

Gli Stati Uniti ogni anno emettono nell'atmosfera circa il 14% delle emissioni globali e rappresentano il secondo Paese più inquinante dopo la Cina, che detiene il primato con il 25%. Questo significava che a livello formale il trattato non avrebbe perso validità, ma l'impatto a livello ambientale degli impegni presi sarebbe stato notevolmente inferiore. La vittoria di Joe Biden alle urne come nuovo Presidente americano ha ristabilito l'ordine e gli USA sono rientrati nell'Accordo di Parigi il 22 febbraio del 2021.

 

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