- Crollo ai minimi storici della Lira turca, la politica governativa e della banca centrale non regge più;
- L'instabilità valutaria e le regole stringenti sui prestiti alle banche straniere hanno generato un fuga disordinata di capitali;
- Secondo gli analisti il rialzo dei tassi d'interesse sarebbe oggi una decisione inevitabile per evitare il collasso
La Turchia è nel caos. Questa settimana è una delle più tribolate degli ultimi anni dal punto di vista finanziario per il Paese guidato da Erdogan. A segnare marcatamente le difficoltà delle Nazione il crollo della Lira turca, giunta ormai al collasso. L'indebolimento nei confronti delle altre valute è costante. Rispetto al Dollaro USA è arrivata a toccare nella giornata di oggi il minimo storico, con un Dollaro che vale 7,3662 lire. Stesso discorso riguardo il cambio EUR/TRY che ha raggiunto quota 8,50.
Le tensioni sul mercato valutario hanno trascinato a fondo la Borsa di Istanbul, in caduta libera fino a perdere il 5%, e i titoli di Stato il cui rendimento è schizzato fino al 12,26%. Nella notte tra martedì e mercoledì i tassi overnight off-shore sono arrivati al 1050%, ricordando quanto successe nel bimestre marzo-aprile dove esplosero al 1200%. Quello che è accaduto in questi due giorni è figlio della scarsa liquidità presente sul mercato dovuta al drenaggio di risorse della Banca Centrale per sostenere la Lira.
Alla base di tutto vi è comunque la politica, giudicata scriteriata da molti analisti e addetti stampa, che è stata adottata finora dal tandem Governo-Banca Centrale per ri sollevare l'economia dalla crisi pandemica. Le critiche mosse vertono sull'eccessiva generosità del credito e sulla riluttanza ad alzare i tassi d'interesse per frenare la svalutazione valutaria e la corsa dell'inflazione.
Questo non ha fatto altro che incrementare il deficit e creare le premesse per una crescita dei prezzi fuori controllo. A nulla sono valsi come si è visto gli sforzi da parte degli istituti di credito statali e della stessa Banca Centrale turca di appoggiare la Lira ad oltranza.
Le resistenze di Erdogan all'aumento dei tassi
Nella giornata di ieri c'è stato un vertice tra i maggiori rappresentanti delle istituzioni bancarie e governative per stabilire nuove regole che limitano il credito e permettono alle banche di aumentare i tassi sui depositi. Il mercato però ha interpretato tutto quanto in chiave negativa, ossia come un modo per evitare l'aumento del costo del denaro suggerito da tanto tempo. Ancor più che l'Istituto di credito centrale ha dichiarato che si muoverà gradualmente per ritirare la liquidità nel mercato che era stata generosamente elargita per sostenere l'economia. Basti pensare che la crescita dei prestiti è stata del 40% annuo negli ultimi 3 mesi, con un picco del 50% nel mese maggio.
Al di là del fenomeno Covid-19, questo espansionismo monetario rientra nella politica della crescita a tutti i costi voluta da Erdogan. Il premier turco teme che l'aumento dei tassi potrebbe addirittura spingere su i prezzi, con riflessi negativi sull'occupazione. Tale minaccia inciderebbe in maniera molto forte sulla popolarità del suo partito che nelle elezioni dell'anno scorso ne è uscito con le ossa rotte in vari Comuni.
Ad essere nel mirino ora è anche il Ministro del Tesoro, Berat Albayrak, che nel 2018 incolpò gli speculatori stranieri riguardo le agitazioni di mercato intorno alla Lira. Allo stesso tempo, il genero di Erdogan ha dichiarato che la Turchia non desidera soldi bollenti, chiudendo le porte a un ingresso del Fondo Monetario Internazionale che imporrebbe riforme rigide per il Paese.
Lira Turca: cosa succederà ora?
A quanto pare una stretta ora però sembra inevitabile, visto che continua il deflusso di capitali stranieri da Ankara. Le banche estere negli ultimissimi anni hanno sempre di più riscontrato difficoltà a prendere a prestito denaro in Lire a causa dei limiti imposti dalle Autorità di Regolamentazione. Secondo tali limiti agli istituti di credito locali è stato fatto divieto di prestare più dello 0,5% del capitale a controparti straniere. La rimozione di questi paletti sarebbe secondo gli analisti un passo importante.
Goldman Sachs ha stimato che Ankara ha speso 65 miliardi di dollari quest'anno per impedire il tracollo della Lira. Ciò significa che la differenza tra attività e passività in valuta estera è negativa di 41,3 miliardi di dollari. La situazione ovviamente non potrà reggere a lungo. Ecco perché una stretta sui tassi sarebbe opportuna. Ormai la valuta ha superato la soglia psicologica di 7 lire per un Dollaro USA, adesso si sta monitorando il livello 7,5 oltre il quale urgono interventi immediati.
Inevitabilmente la Lira turca è diventato l'indicatore più seguito tra le variabili economiche, dal momento che più di 200 miliardi di dollari dei risparmi delle famiglie e delle imprese sono detenute in valuta straniera. Ancora più pericolosa è la situazione delle società turche che hanno nel complesso 289 miliardi di dollari di debiti detenuti in moneta estera. Una divisa troppo debole renderà ben presto l'indebitamento insostenibile.
Ad ogni modo si parla dal 2018 della necessità di cambiare rotta sulla politica dei tassi, ma da allora chi si aspettava un intervento aggressivo in tal senso dalle Autorità politiche e monetarie ne è rimasto puntualmente deluso.