- I 27 a Bruxelles giungono finalmente a un compromesso: 750 miliardi distribuiti tra 390 miliardi di sussidi e 360 miliardi di prestiti;
- L'Italia ne esce trionfatrice usufruendo di una somma maggiore rispetto a quanto inizialmente stabilito;
- I mercati azionari festeggiano l'accordo e viaggiano nel segno del verde
È deal! Con questo twitter, il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha comunicato all'alba di stamattina il grande accordo raggiunto tra i ventisette Stati che fanno parte dell'Eurozona. Il Next Generation EU non è più un disegno astratto utile per scrivere sulle colonne dei quotidiani, ma da oggi avrà sembianze reali dopo una maratona di quattro giorni che a un certo punto somigliava più ad un calvario.
Non è stato facile riuscire a piegare la resistenza della schiera di avversari accaniti che si erano messi di traverso al progetto iniziale. Però forse il fatto che il pomo della discordia avesse al centro la Germania, che ora stava dalla parte opposta, ha fatto sì che l'ingorgo si sbloccasse e il passaggio venisse liberato.
Resta il fatto che il grande sogno di costituire un'Europa incrollabile nella sua compattezza probabilmente sarà destinato a rimanere tale. Alla fine quattro o cinque piccoli Paesi che insieme fanno il 10% degli abitanti di tutta l'Unione Europea, sono riusciti a tenere un intero continente asserragliato dentro i palazzi di Bruxelles per un tempo che sembrava indefinito.
Recovery Fund: cosa prevede l'accordo
Ad ogni modo, vista la palese disomogeneità che l'Europa ha mostrato nel suo passato, si può dire che l'accordo sia comunque storico, al di là delle celebrazioni.
Il Recovery Fund sarà rifocillato di 750 miliardi, come era nei piani iniziali. Ciò che invece cambia è la composizione tra sussidi e prestiti. I primi saranno 390 miliardi e non più 500, i secondi passeranno da 250 a 360 miliardi. Insomma un compromesso per non sentire abbaiare i frugali e rendere tutti con la coscienza a posto di fronte al proprio elettorato.
Dicevamo l'accordo è storico perché per la prima volta si fanno gli Eurobond, anche se chiamati con un altro nome. Ci è voluta una pandemia per fare in modo che si avallasse un progetto di debito comune che dalle zone calde del Mediterraneo era stato richiamato ogni qualvolta si presentasse una crisi.
L'Italia comunque ne viene fuori bene. Si porterà a casa 208 miliardi di euro, più di quanto in origine si era stabilito. Ci saranno solo più prestiti (127 miliardi piuttosto che 91) mantenendo pressoché inalterato il livello di sussidi (81,4 miliardi invece di 81,8).
L'altro argomento spinoso che aveva creato un muro contro muro tra il Presidente olandese Mark Rutte e il nostro Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, riguarda la governance. Tutti i piani di spesa dei Paesi che utilizzeranno il Recovery Fund passeranno al vaglio della Commissione Europea e dello stesso Consiglio UE non all'unanimità ma a maggioranza qualificata. E questa per il recalcitrante leader orange è una grave sconfitta, in quanto gli impedisce di tenere in pugno tutta la situazione opponendo il veto in maniera arbitraria. L'unica arma che avrà a sua disposizione è la facoltà di richiedere la sospensione dell'approvazione per un periodo non superiore a tre mesi.
Il Fondo, che dovrà ricevere l'approvazione ora del Parlamento Europeo e la ratifica nazionale, comincerà a distribuire denaro tra l'anno prossimo e il 2023, e avrà termine nel 2026. L'anno seguente inizieranno i rimborsi dei prestiti attraverso il denaro recuperato con varie tasse europee che spaziano dall'ambiente al digitale, nonché attingendo alle risorse del bilancio europeo che, per i prossimi sette anni, avrà un valore di 1.074 miliardi.
Recovery Fund: la reazione dei mercati
Le Borse europee hanno salutato l'accordo con favore, facendo registrare guadagni diffusi ben oltre il punto percentuale e dando seguito all'intonazione positiva dei mercati asiatici. In particolar modo il FTSE MIB sale di due punti percentuali, mentre il DAX supera di slancio i 13.000 punti.
Si abbassa notevolmente lo spread tra BTP italiani e Bund tedeschi del 3,28% a 150 punti base, così come si restringe il differenziale tra i nostri titoli e i Bonos spagnoli a 71 basis point. Valori questi che non si vedevano da 4 mesi sulla Piazza finanziaria dei titoli di Stato.
Sul mercato valutario, l'Euro si mantiene in linea con la chiusura di ieri, nell'ambito di un rally rispetto al Dollaro USA che dura da cinque settimane e che lo vede sfidare l'importantissima zona di resistenza che si trova a 1,15.