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Alitalia: come è diventata un peso per lo Stato italiano

26 gen 2021 - 07:15

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Il 26 gennaio 2009 le azioni dell'Alitalia sono state delistate dalla Borsa di Milano. Ormai valevano pochi centesimi. Ripercorriamo le vicende che hanno portato a questo

Le vicende che hanno interessato Alitalia hanno qualcosa di grottesco. Nessuno avrebbe mai pensato, durante gli anni di maggiore splendore della compagnia di bandiera, che questa si sarebbe trasformata in una zavorra per lo Stato italiano.

Cattiva gestione e alleanze sbagliate hanno portato un'azienda al dissesto, con un futuro ancora colmo di incertezze e di preoccupazioni. L'ultimo tentativo di risanamento del Governo si scontra con una delle peggiori crisi, quella pandemica, che il nostro Paese abbia mai vissuto dal Dopoguerra ad oggi.

 

Alitalia: da orgoglio italiano ad azienda in profonda crisi

Alitalia fu fondata a Roma il 16 settembre 1946 con capitali privati e divenne l'unica compagnia di bandiera italiana il 31 ottobre 1957 grazie alla fusione, imposta dall'IRI, con LAI-Linee Aeree Italiane. Per 40 anni l'azienda ha rappresentato l'orgoglio nazionale diventando nel 1969 la prima compagnia aerea europea a volare con una flotta di soli velivoli a reazione e nel 1993 la terza in Europa per numero di passeggeri trasportati, dopo Lufthansa e British Airways.

Le ambizioni della società di Stato erano però molto alte e proprio nel 1993 Alitalia tentò senza successo la fusione con Air France. Nel 1996 arrivò la privatizzazione effettuata dal Governo Prodi con la quotazione del 37% delle azioni in Borsa.

I benefici per la compagnia non furono quelli attesi, così si cercò di portare a termine una fusione con la compagnia aerea olandese KLM. In base all'accordo, veniva potenziato l'hub di Malpensa con uno spostamento da Roma Fiumicino. Il progetto però non decollò per via dei ritardi nella costruzione delle infrastrutture proprio nell'aeroporto lombardo.

Il mancato trasferimento di voli da Linate a Malpensa comportò una perdita di 2,6 milioni di passeggeri, equivalente a 60 miliardi di ricavi sfumati per ogni mese. Quanto bastò perché KLM si ritirasse dall'affare pagando una penale di 250 milioni di euro. Alla fine degli anni '90 si unirono altri due fattori che mandarono in crisi la compagnia: l'aumento del costo del petrolio e la guerra dei Balcani, che ridussero il traffico aereo. Questo fu però solo il preludio ai disastri sopraggiunti nel nuovo millennio.

 

Alitalia: la pista francese andata in fumo

Agli inizi degli anni 2000 nel mercato dell'aviazione entrarono una serie di compagnie a basso costo e questo rese problematica la situazione di Alitalia, la quale tentò di riallacciare i rapporti con Air France. L'azienda francese rilevò il 2% delle azioni di Alitalia, ma una fusione che prevedeva l'attribuzione alla società italiana del 30-35% del capitale di Air France fallì per la seconda volta per l'opposizione del Governo Berlusconi.

Intanto il bilancio continuava ad andare in rosso ogni anno e ciò si rifletteva drammaticamente sulle quotazioni azionarie. Nel 2001 il titolo Alitalia valeva 10 euro a Piazza Affari, 5 anni più tardi poco più di 1 euro. Avendo quindi l'azienda perso circa il 90% del suo valore, verso la fine del 2006 il Governo Prodi decise la cessione. Quasi il 40% fu messo sul mercato, facendo in questo modo scattare l'OPA obbligatoria per il nuovo acquirente. Tra i partecipanti vi furono la finanziaria che controllava Air One, AP Holding di Carlo Toto, il fondo americano Texas Pacific Group e la compagnia russa Aeroflot. Dopo 8 mesi di trattative l'affare naufragò e tutti i pretendenti si ritirarono.

Fallito il tentativo di privatizzazione, il 21 dicembre 2007 il secondo Governo Berlusconi tornò alla carica e iniziò una trattativa in esclusiva con Air France-KLM. Le condizioni sembravano propizie e il 15 marzo 2008 si arrivò a un deal che prevedeva un'OPS sul 100% delle azioni Alitalia con uno scambio di 160 azioni della compagnia italiana per ogni azione del duo Air France-KLM e un'OPA sul 100% delle obbligazioni convertibili di Alitalia. In termini economici questo significava una ricapitalizzazione di 1 miliardo per l'azienda italiana.

Tutto questo però era condizionato a una serie di vincoli: l'impegno scritto del Governo italiano a mantenere i diritti di traffico di Alitalia, un accordo con i sindacati, l'accordo con Aeroporti di Roma in merito al Business Plan triennale, l'accordo con Fintecna e Alitalia Servizi riguardo la manutenzione e i servizi di terra e infine il ritiro del contenzioso con SEA.

Una volta perfezionato il tutto, lo Stato italiano avrebbe avuto una quota dell'1,4% su Air France-KLM e un consigliere italiano in carica per 6 anni nel CdA di Alitalia. Inoltre vi sarebbero stati 2.100 esuberi, una riduzione di flotta Alitalia di 149 velivoli e la nuova entità nascente avrebbe avuto 3 basi: Amsterdam, Parigi e Roma. Le parti sociali però non vedevano di buon occhio l'accordo e la mancata garanzia di Silvio Berlusconi a proseguire l'accordo in caso di rielezione, portarono il 21 aprile del 2008 al ritiro dell'offerta d'acquisto da parte del gruppo franco-olandese.

 

Alitalia: i capitani coraggiosi e il collasso

L'ennesimo fallimento di fusione indicò un'unica direzione: il commissariamento. Prendendo spunto in proposito della legge Marzano, con la consulenza di Intesa Sanpaolo si seguì questa strada con l'obiettivo poi di una successiva fusione con Air One.

Quindi venne elaborato un programma, denominato Piano Fenice, in cui si sarebbe costituita una nuova società dove sarebbero confluite Alitalia e AP Holding S.p.A., facente parte del Gruppo Toto, a sua volta controllante di Air One. Il progetto dichiarava anche 3.250 esuberi.

In piena estate del 2008 la situazione finanziaria intanto era al collasso e Alitalia dichiarò lo stato d'insolvenza di fronte al Tribunale di Roma. Nel contempo l'azienda venne commissariata sotto la guida del commissario straordinario Augusto Fantozzi.

Nell'autunno del 2008, dopo un estenuante tira e molla con i sindacati, gli assets di Alitalia furono ceduti a Compagnia Aerea Italiana (CAI), una cordata d'imprenditori capitanata da Roberto Colaninno. Il piano della holding era quello di aumentare del 50% i voli nazionali e di tagliare 30 destinazioni internazionali. In questo modo furono ridotti da 175 a 109 il numero di aerei. Inoltre era prevista la costituzione di una bad company di tutte le attività in sofferenza di Alitalia che furono a carico dello Stato.

Intanto le azioni in Borsa di Alitalia, ridotte a pochi centesimi di valore, furono delistate da Piazza Affari il 26 gennaio del 2009.

La gestione di CAI vide qualche lieve miglioramento nel 2011 quando il bilancio si chiuse in perdita di soli 69 milioni di euro. L'entusiasmo ebbe vita breve in quanto la grave crisi del 2011 riportò tutti di fronte alla realtà e il bilancio del 2012 rilevò una perdita di 280 milioni di euro, seguita da un rosso di 500 milioni nel 2013. In verità, i piani di Alitalia di competere sulle tratte brevi era solo un'illusione dal momento che la concorrenza delle compagnie aeree low cost e dei treni ad alta velocità si rivelò letale.

 

Alitalia: l'ingresso degli arabi e il ritorno statale

La schiera degli imprenditori italiani era giunta al capolinea e ancora una volta la compagnia di bandiera era in cerca di un acquirente. A farsi avanti stavolta fu la compagnia degli Emirati Arabi, Etihad Airways. Nonostante l'operazione fu sconsigliata da Lufthansa, l'affare andò in porto e fu siglato a Roma l'8 agosto del 2014. L'accordo prevedeva la nascita di Alitalia SAI con il colosso del Medio Oriente che avrebbe avuto in mano il 49% della compagnia, a seguito di un investimento di 565 milioni di euro.

La nuova strategia era opposta a quella precedente, infatti furono immediatamente ridotte le tratte brevi. La cosa portò a un abbassamento delle perdite che, alla chiusura del bilancio 2015, andarono sotto il 200 milioni. Tutto questo fu un fuoco di paglia e alla fine del 2016 le perdite raddoppiarono.

A quel punto si indisse un referendum per il salvataggio di Alitalia con soldi pubblici, che richiedeva un investimento di 2 miliardi di euro. Tra le altre cose veniva proposto un piano che comprendeva 80 esuberi, tagli medi degli stipendi dell’8% e la diminuzione delle ferie. Il popolo però votò contro in maniera quasi plebiscitaria: 67% NO, 33% SI.

Stanti così le cose, non rimase che la strada dell'Amministrazione straordinaria che fu presentata su istanza del CdA il 2 maggio 2017. Nel frattempo lo Stato erogò un prestito ponte di 900 milioni di euro per tamponare l'enorme buco finanziario dell'azienda. Questo accese i fari dell'Unione Europea per aiuto di Stato illegittimo.

Il Decreto "Cura-Italia" del 2020 ha tagliato definitivamente la testa al toro, con l'acquisizione da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 100% delle azioni di Alitalia che quindi, dopo 11 anni di gestione privata, è tornata in mano allo Stato.

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