Negli ultimi giorni i dati macro statunitensi hanno offerto segnali contrastanti: da un lato il PIL è stato rivisto al rialzo (+3,8% annualizzato), grazie ai segnali di forza provenienti dal mercato del lavoro e dagli indicatori reali, come gli ordini di beni durevoli che mostrano dinamiche più vivaci del previsto.
Dall’altro, i listini azionari hanno registrato prese di profitto e una rotazione settoriale significativa. La tecnologia risulta sotto pressione, con l’energia in evidenza. Tutto ciò ha spinto i rendimenti dei Treasury decisamente in alto e ha rafforzato il dollaro, complicando le stime sui futuri tagli dei tassi da parte della Fed.
Secondo Reuters, infatti un PIL più robusto e le basse richieste di disoccupazione riducono la probabilità che la Fed sia pronta a tagliare i tassi rapidamente. Quando i mercati sono consapevoli che c’è minore spazio per i tagli futuri, i rendimenti si impennano e le azioni, specialmente quelle a forte valutazione come molti tech, vanno in sofferenza.
Due velocità per high tech ed energetici
Dopo mesi di sovraperformance dei titoli tecnologici (e con valutazioni elevate specialmente su alcuni big), i gestori hanno preso profitto, preferendo settori più ciclici o legati alle commodity. Questo movimento accentua le perdite nel comparto tech. Reuters ha segnalato vendite rilevanti su nomi come Nvidia e altri semiconduttori, che hanno zavorrato l’indice Nasdaq.
Il recente rialzo del petrolio per questioni afferenti all’offerta e alle tensioni geopolitiche ha favorito le società del settore energetico e ridotto l’appetito per i titoli sensibili alle mosse sui tassi reali. L’aumento del prezzo del greggio, poi, rende più probabile una persistenza dei costi al consumo, un fattore che tiene alta l’attenzione della Fed.
A tutto ciò bisogna aggiungere che venerdì 26 settembre il Dipartimento del Commercio USA ha pubblicato il report Personal Income and Outlays relativo ad agosto, che ha confermato due elementi centrali: una spesa dei consumatori più vivace del previsto e un lieve rialzo dell’inflazione misurata dal PCE, la misura preferita dalla Fed.
Secondo Ap News il fatto che il core PCE si confermi in quota 2,9% risulta importante, infatti mostra che, al netto di alimentari ed energia, la pressione sui prezzi non è ancora completamente rientrata. Per la Fed questo mantiene aperta la possibilità di essere prudente nel percorso di allentamento.
EUR/USD: attenzione all'andamento dei prezzi
Dopo il rilascio delle notizie, EUR/USD ha respirato recuperando terreno e rallentato la discesa perché un PCE "in linea" con le aspettative riduce il rischio di un rialzo dei tassi più aggressivo e lascia spazio per un proseguimento del percorso di allentamento già scontato nel mercato. Tuttavia, secondo gli analisti, il livello di core PCE sopra il 2% frena scommesse euforiche su tagli rapidi e ampi: in pratica l’impatto netto sul cambio è stato moderato e guidato più dalla rivalutazione delle probabilità sui tagli, che da un cambiamento netto nello scenario macro.
Le analisi di mercato del giorno indicano una pressione a favore del dollaro nel breve se altri dati fossero più forti, ma al contempo una vulnerabilità del biglietto verde se la dinamica prezzi si stemperasse nella prossima lettura.
Al momento siamo in zona 1,17 e al rialzo bisogna oltrepassare la recente resistenza del 17 settembre in zona 1,19 per ipotizzare un rialzo, mentre al ribasso bisogna guardare con attenzione zona 1,14 toccata a fine luglio.
Circa le implicazioni che potrebbero seguire, per la Fed la combinazione di consumi robusti e core PCE sopra il target implica la possibilità di tagli moderati; ma, secondo Reuters, qualunque decisione sarà data-dependent e molto sensibile ai prossimi indicatori sul lavoro e all’evoluzione dei prezzi. I mercati dovranno monitorare gli indicatori occupazionali e la serie dei prossimi PCE/CPI per aggiornare le scommesse sui tassi.
Sul cambio, EUR/USD ha avuto un sollievo momentaneo ma resta esposto a correzioni se i dati USA tornassero più forti; al contrario, letture più deboli sui prezzi o sul lavoro amplierebbero lo spazio per un recupero dell’euro.
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