Settembre è iniziato e Wall Street si è mantenuta sui massimi, con l’S&P 500 che giovedì ha aggiornato nuovamente i massimi storici. Sui listini internazionali sembra regnare una fase d’attesa. E se l’Europa dovrà vedersela con la Francia e le possibili scosse ai mercati che potrebbe portare un’instabilità politica, in America il focus degli operatori è rivolto alle decisioni di politica monetaria che prenderà Jerome Powell la prossima settimana.
I dati del mercato del lavoro usciti venerdì confermano l’indebolimento dell’economia a stelle e strisce. Ad agosto sono stati creati solamente 22mila nuovi posti di lavoro nel settore non agricolo. La disoccupazione è arrivata al 4,3%. Secondo gli ultimi dati del FedWatch Tool del CME, un taglio del costo del denaro il prossimo 17 settembre è scontato.
La domanda a questo punto è: di quanto? Lo scenario base è 25 punti base, tuttavia venerdì le probabilità di una sforbiciata di 50 punti base sono balzate da 0 al 14,2%. Un’ipotesi che allarma gli operatori, così come dimostra la reazione negativa degli indici di Borsa venerdì. Le tensioni tra Donald Trump, la Fed e la giustizia sul fronte dei dazi sono un triangolo di variabili parallele che potrebbero spingere i mercati verso un clima meno propenso al rischio nelle prossime settimane.
Tagli ai tassi BCE? Per ora no
Nel corso dell’ultimo anno la BCE ha ridotto i tassi di riferimento di 200 punti base, portandoli in quella che può essere considerata una fascia neutrale (1,75-2,25%). Giovedì si riunisce il board della Banca Centrale Europea ed a prevalere è la sensazione che i banchieri centrali preferiscano prendere tempo per osservare l’impatto delle nuove tensioni commerciali, piuttosto che affrettare un allentamento della politica monetaria.
Se fino a poco tempo fa i mercati scommettevano con convinzione su un altro taglio dei tassi prima della fine dell’anno, oggi lo scenario appare molto più cauto: i contratti swap prezzano con il 50% di probabilità che l’Eurotower resterà ferma nei meeting di settembre, ottobre e dicembre. Un approccio dettato sia dalla prudenza in attesa di capire l’esatto impatto dei dazi e sia dalle indicazioni arrivate dai dati macroeconomici: in Francia e in alcuni Länder tedeschi l’inflazione è tornata a salire, così come l’indice dell’intera Eurolandia, passato ad agosto dal 2 al 2,1% annuo (dato flash).
Tra gli operatori, da un lato c’è chi continua a stimare nuovi tagli nell’anno corrente in scia dell’effetto combinato di un euro più forte, del rallentamento nella crescita salariale e del rischio persistente di un’inflazione inferiore alle attese, dall’altro troviamo coloro i quali inizia si attendono una stretta. Nelle ultime settimane Deutsche Bank ha abbandonato la previsione di ulteriori allentamenti nel 2025 scommettendo su una mossa di politica monetaria completamente opposta: un aumento dei tassi entro la fine del 2026.
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