L’ultima è stata una settimana a due velocità, con gli indici azionari che dopo aver raggiunto nuovi massimi – o essersi avvicinati a quelli di periodo – hanno ripiegato nella seconda metà dell’ottava. L’attenzione degli investitori è stata rivolta ai dazi, dopo la minaccia di nuove tariffe del 25% su auto, semiconduttori, prodotti farmaceutici e legname da parte del presidente USA Donald Trump.
A zavorrare le Borse è stato inoltre l’outlook di Walmart sulle vendite per l’anno fiscale 2026, annuncio che ha avuto un effetto domino su gli altri grandi rivenditori al dettaglio. Fronte Banche centrali, i verbali dell’ultima riunione della Fed hanno confermato l’atteggiamento prudente dei funzionari sui tassi di interesse. La Fed necessita di ulteriori progressi sull’inflazione prima di altri eventuali tagli.
Se nel caso dell’istituto con sede a Washington si tratta di un approccio già prezzato, in Europa hanno destato sorpresa le dichiarazioni da “falco” arrivate da Isabel Schnabel. Nel corso di un’intervista, il membro del Consiglio esecutivo della BCE ha rilevato che l’attuale contesto di grande incertezza non fa emergere ragioni per giustificare tagli precauzionali dei tassi. “Ci stiamo avvicinando al punto in cui non saremo più restrittivi, a quel punto in cui potremmo dover sospendere o fermare i nostri tagli dei tassi”.
Prezzi europei in primo piano
Le dichiarazioni di Isabel Schnabel hanno riacceso il dibattito su cosa farà la Banca Centrale Europea in occasione del meeting del 6 marzo. Fino a qualche giorno fa una nuova riduzione dei benchmark di Eurolandia era scontata, ora che i “falchi” hanno rialzato la testa questa mossa non è più così certa. Anche nel caso di nuovo allentamento sui tassi, la decisione molto probabilmente sarà accompagnata da venature “hawkish” destinate ad influenzare le future mosse.
Il timing dei nuovi aggiornamenti sull’andamento dell’inflazione è particolarmente felice: oggi l’appuntamento è con i dati definitivi sui prezzi al consumo di gennaio e venerdì arriveranno i numeri preliminari di febbraio di Germania, Francia e Italia. In tutti i casi gli indici sono stimati in risalita e questo potrebbe fornire nuova linfa a chi chiede di non procedere in via automatica con una politica di normalizzazione del costo del denaro.
Ma di prezzi si parla anche sull’altra sponda dell’Atlantico, visto che, sempre venerdì sarà la volta del PCE, il dato che misura quanto costano i beni acquistati dai consumatori (e non, come l’indice classico, i prezzi di un paniere di beni). In questo caso però i numeri avranno un impatto decisamente più limitato visto che, per ora, l’ipotesi di una nuova riduzione dei tassi negli Stati Uniti raggiunge una risicata maggioranza relativa (45,7% vs il 43,4% di tassi stabili) solo in occasione del meeting di giugno.
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