Le ultime fiammate rialziste hanno ridato vitalità a Bitcoin e riacceso la speranza dei sostenitori della principale criptovaluta per capitalizzazione che il trend possa riprendere verso nuove mete. Già si è tornati nuovamente a parlare di riagguantare il record storico di 68.990 dollari raggiunto a novembre 2021, anche per lasciarsi alle spalle definitivamente un gennaio disastroso.
I tori sulla valuta digitale più accaniti non hanno perso di vista il grande target di 100.000 dollari, che da tempo stuzzica la fantasia degli investitori. La realtà è che bisogna procedere con cautela perché ancora nulla è stato fatto, dal momento che il quadro generale impone prudenza.
Bisogna partire da alcuni punti certi, come il fatto che il supporto cruciale di 33.000 dollari non è stato violato e da lì i prezzi sono rimbalzati. Ma anche che finora siamo ancora nella fase di rimbalzo in un trend di breve votato al ribasso e che ancora deve fornirci ulteriori segnali. In definitiva occorre attendere altre cifre tecniche per poter affermare con ragionevole certezza la direzione che prenderà nei prossimi giorni il prezzo di Bitcoin.
Bitcoin: arriverà davvero a 10.000 dollari?
Al rinnovato clima di ottimismo generale non partecipa Barry Bannister, Chief Equity Strategist di Stifel. L'esperto è convinto che Bitcoin precipiterà verso i 10.000 dollari, magari non quest'anno ma sicuramente nel 2023 quando anche i mercati azionari e l'oro affonderanno.
La ragione sta tutta nell'inasprimento della politica monetaria della Federal Reserve, sia sul fronte dell'offerta di moneta sia soprattutto sul versante dei tassi d'interesse. Ormai il mercato si attende 5 aumenti quest'anno, ma che potrebbero essere anche 7 se l'inflazione non dovesse concedere una tregua.
Per Bannister, ciò significa che gli investitori fuggiranno da asset che non danno interessi e non distribuiscono dividendi come Bitcoin e oro, nonché da attività come le azioni che scontano flussi reddituali a tassi più alti. Verranno invece privilegiati i depositi bancari, le obbligazioni e le attività in dollari USA perché tutti trarranno vantaggio dall'aumento del costo del denaro.
L'esperto mette in luce come Bitcoin abbia storicamente perso quota ogni volta che la Banca centrale americana ha stretto sui tassi, come ad esempio nel 2018 allorché crollò in poco tempo del 70%. Al contrario, quando l'istituto monetario ha iniziato una fase di espansionismo della sua politica monetaria, la criptovaluta ha sistematicamente innescato un rally importante.
L'esempio più emblematico si è avuto a marzo del 2020, con il Governatore Jerome Powell che ha adottato le misure anti-pandemiche inondando il mercato di liquidità e azzerando i tassi Fed. Da quel momento la corsa di Bitcoin è diventata inarrestabile e guarda caso si è interrotta nel momento in cui a novembre dello scorso anno lo stesso Powell ha annunciato il tapering.
Un segnale d'allarme, a giudizio di Bannister, potrebbe venire dal mercato obbligazionario americano. La curva dei rendimenti sta cominciando ad appiattirsi, con lo spread tra rendimenti dei T-Note a 10 anni e dei Treasury a 2 anni che si sta riducendo.
Se vi dovesse essere un'inversione, ossia che il rendimento a 2 anni superi quello a 10 anni, sarebbe il primo avvertimento di una recessione in corso. Ancora peggio qualora l'inversione si dovesse verificare tra i rendimenti a 10 anni e quelli a 3 mesi. A quel punto vorrebbe dire che gli investitori temono l'arrivo di una tempesta da un momento all'altro.
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