Chi compra Banca Monte dei Paschi di Siena farà un affare da 7,8 miliardi di euro. Affermazione molto forte ma decisa da parte di Mediobanca in questo risiko bancario che vede al centro la più antica banca del mondo.
Il Tesoro italiano, che controlla l'istituto senese con il 64,23% delle quote, deve uscire dal capitale entro la fine del 2021 ma attualmente i possibili avvicendamenti si sono impantanati in un nugolo di dubbi che hanno investito eventuali player intenzionati a partecipare al gioco.
L'alto indebitamento dell'istituto di credito e l'impatto sul capitale di eventuali nozze con MPS sono solo alcuni degli aspetti che hanno frenato gli altri istituti. In verità sorgerebbero anche ragioni di governance, con lo Stato che potrebbe mantenere il ruolo di primo azionista del gruppo o comunque una presenza molto influente.
M&A MPS: le alternative in gioco
Fino ad oggi l'ipotesi di una fusione con UniCredit sembrava la più credibile, soprattutto dopo l'uscita di scena di Jean Pierre Mustier, considerato dai vertici societari il principale ostacolo al deal tra le due banche. In realtà il CdA della seconda banca italiana ha fatto sapere che l'affare non dovrà danneggiare gli interessi del gruppo, ergo non sarà fatto a qualunque condizione.
Questo sicuramente solleva parecchie perplessità sul buon esito dell'operazione, cosa che ha raffreddato notevolmente le attese. Un'alternativa che è emersa nelle ultime ore e caldeggiata dagli esponenti del Movimento 5 Stelle, riguarda la possibilità di MPS di viaggiare da sola in tandem con Amco, da cui questa estate si è scissa cedendo Npl per 8,1 miliardi di euro.
Il progetto si configurerebbe nel modo seguente: l'erogazione dei crediti della banca vengono in qualche modo coperti da Amco che funge da bad bank rilevando quelli deteriorati. Nel contempo la società finanziaria cartolarizza i crediti e li fa sottoscrivere a MPS che, a sua volta, li indirizza alla BCE come collaterale per ottenere liquidità.
Tutto questo verrebbe effettuato sotto la supervisione dello Stato, che controlla entrambi gli istituti. La mossa però significherebbe una ricapitalizzazione di 2 miliardi da parte del Tesoro, cosa che difficilmente passerebbe inosservata ai rilievi dell'Antitrust.
M&A MPS: come ottenere una dote di 7,8 miliardi di euro
Riprendendo la considerazione di Mediobanca, una fusione con MPS potrebbe davvero rappresentare un'occasione ghiotta. Secondo il principale consigliere di Piazza Salimbeni, acquistare l'istituo senese significa portare a casa una dote tra 5,2 e 7,8 miliardi, ovvero da 4,3 a 6,5 volte il valore di mercato dell'azienda.
Queste cifre deriverebbero dal fatto che una volta creata la nuova realtà la banca sarebbe in grado di produrre un utile netto tra 290 e 482 milioni di euro grazie a risparmi sul personale fino a 525 milioni, minor costo della raccolta fino a 173 milioni, e 160 milioni di margine d''interesse.
Tutto ciò, considerando un multiplo di 10, vorrebbe dire una capitalizzazione di mercato tra 2,9 e 4,82 miliardi a cui ci sarebbero da aggiungere 854 milioni di attivi di rischio sul capitale ma soprattutto 2,2 miliardi di DTA, ossia di imposte differite che la legge di bilancio del Governo consente di tramutare in crediti fiscali in caso di fusioni.
Tuttavia sul discorso dei benefici ex DTA vi è battaglia in Parlamento. Gli emendamenti posti dal M5S che limitavano la portata a 500 milioni di euro sono stati ritenuti inammissibili da parte della Commissione Bilancio alla Camera, mentre è ancora oggetto di discussione l'altro emendamento proposto da Leu che considera benefici di 463 milioni nel 2021 e 1,31 miliardi nel 2022. Quest'ultima proposta sembra maggiormente in linea con la dotazione del tesoretto istituito dal MEF.