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CONSOB ritiene banche italiane più resilienti rispetto a altre crisi ma vulnerabili per mancanza sostegno pubblico;
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Rispetto a banche europee, gli istituti di credito tricolore hanno ancora più Npl ma sono meno esposti ai derivati;
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Le banche americane sono più redditizie rispetto a quelle europee grazie all'attività di trading
Resilienti ma vulnerabili. Sono questi gli aggettivi che definiscono le banche italiane nel rapporto che la CONSOB ha rilasciato stamane per illustrare gli effetti del Covid-19 sul nostro sistema creditizio. Resilienti perché rispetto ad altre crisi le aziende di credito si sono fatte trovare più solide dal punto di vista patrimoniale e quindi hanno risposto meglio agli shock sistemici. Vulnerabili in quanto la mancanza di un vero appoggio da parte dello Stato a risolvere la crisi economica fa da freno alla ripresa.
Oggi a Piazza Affari le banche italiane soffrono come tutti gli altri titoli. Infatti l'indice FTSE Italia All Share Banks cede l'1,23%, in linea con le perdite registrate nel principale listino milanese.
Banche italiane: Npl in calo ma meno rispetto agli istituti di credito europei
Dal documento dell'Autorità di Vigilanza e Controllo di Borsa si legge che la composizione dell'attivo patrimoniale degli istituti di credito italiani ha indubbiamente conosciuto un miglioramento a livello qualitativo negli ultimi anni. Questo grazie alla cessione da parte dei grandi gruppi bancari di molti crediti in sofferenza che si erano accumulati in bilancio.
Basti pensare che nel 2015 gli Npl ammontavano al 9,8% del totale dell'attivo, mentre a fine 2019 erano solo del 3,2%. L'operazione di pulizia ha fatto innalzare il livello medio del Common Equity Tier 1 al 13,2% (15% in media in Europa), che rispetto a quello registrato nel 2007 è quasi il doppio. Tuttavia l'incidenza dei crediti deteriorati sul totale è superiore a quello della media europea (6,7% contro 2,7%), sebbene il tasso di copertura degli Npl sia del 54% a fronte del 45% europeo.
Un punto messo in risalto dall'istituto guidato da Paolo Savona è però la qualità dell'attivo, che dipende molto dalla quantità di titoli pubblici detenuti in portafoglio. In effetti negli anni è stata la presenza in bilancio del debito sovrano che ha reso vulnerabile l'attivo patrimoniale degli istituti di credito.
In questo vi è stato un certo miglioramento rispetto all'Europa se non altro perché la gran parte dei titoli di Stato italiani è stata iscritta in bilancio al costo ammortizzato, il che attutisce l'impatto delle oscillazioni di prezzo sul mercato secondario. Ciò nonostante nel complesso la quantità di titoli pubblici delle banche italiane è superiore in confronto alla media europea (14% sul totale dell'attivo, rispetto al 12% europeo; 7,4% contro 5% solo di titoli domestici).
Sul fronte invece dei derivati le banche italiane hanno ridotto la presenza di tali strumenti finanziari in bilancio nel corso del tempo. A fine 2019 il totale dei prodotti derivati in rapporto al totale del passivo era del 4%, mentre per le banche francesi dell'8% e per quelle inglesi e tedesche addirittura del 12%
Banche italiane: redditualità inferiore a quelle americane
Riguardo l'aspetto reddituale, i miglioramenti a livello bancario del tricolore sono importanti. La razionalizzazione dei costi ha contribuito a rendere più efficiente il sistema creditizio. Purtroppo questo si è dovuto scontrare con una riduzione dei ricavi determinata dal livello basso dei tassi di interesse che ha portato a una marginazione d'intermediazione molto esigua.
Ad ogni modo, a fine 2019 il ROE e il Cost to Income Ratio, che misura l'efficienza operativa, risultano perfettamente in linea con quelli delle banche europee.
La situazione sembra lontana rispetto a quanto sta succedendo negli Stati Uniti dove la pubblicazione delle trimestrali ha messo in risalto una redditività delle grandi banche americane sorprendente.
Come rileva Peter De Coensel, CIO Fixed Income di DPAM, dai risultati di Morgan Stanley, Goldman Sachs, Citi e JP Morgan si evince che la gran parte dei ricavi delle banche d'affari è determinata dall'attività di trading nei mercati finanziari. In tal caso la redditività è tanto maggiore quanto più alta è la volatilità, come si è avuta in questi mesi.
Nonostante questi risultati le banche USA hanno innalzato il livello di guardia in via precauzionale, aumentando la quantità di accantonamenti a bilancio. L'esperto ritiene che gli accantonamenti sarebbero destinati ancora a crescere per via di ritardi nei pagamenti e delle insolvenze dettate dalla crisi. E potrebbero non essere sufficienti una volta che le garanzie a livello governativo verranno meno. A suffraggio di tale analisi, il totale delle somme accantonate risulta essere circa l'1% dei prestiti concessi, mentre il tasso d'insolvenza medio delle imprese americane nell'ultimo anno si aggira intorno al 6,3%.