In macroeconomia, la curva di Phillips è un concetto economico sviluppato da William Phillips secondo il quale esiste una relazione inversa e stabile tra inflazione e tasso di disoccupazione. Secondo la curva di Phillips, minore è il tasso di disoccupazione in un’economia, più rapidamente aumentano gli stipendi.
Secondo questa teoria l’inflazione va di pari passo con la crescita economica del Paese che di conseguenza dovrebbe portare ad un numero maggiore di posti di lavoro e ad un tasso di disoccupazione più basso. Il concetto tuttavia è stato smentito empiricamente negli anni ’70 durante il periodo di stagflazione, quando si verificarono contemporaneamente massimi livelli per inflazione e disoccupazione.
Curva di Phillips: origini, definizione e interpretazione
Come accennato precedentemente, in macroeconomia il legame tra l’andamento del tasso di inflazione e quello di disoccupazione è stato teorizzato dall’economista neozelandese Alban William Phillips nel saggio “The relationship between unemployment and the rate of change of money wages in the UK 1861-1957”, sulla base di dati empirici ottenuti nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
La relazione è stata appunto definita curva di Phillips ed esprime l’evidenza di una inversa proporzionalità esistente tra inflazione e tasso di disoccupazione: in teoria, quando il tasso di disoccupazione è basso, il tasso d’inflazione è alto, e viceversa.
Questa relazione è coerente con il resto della teoria economica ed è intuitivo comprendere che una maggiore occupazione indichi un’economia in espansione e conseguentemente una maggiore pressione verso l’alto sui prezzi. Tuttavia, nel corso degli anni molti economisti hanno detto la loro su questa teoria esprimendo molti dubbi e perplessità, vediamo perché.
Curva di Phillips: dubbi e validità della teoria
I primi dubbi riguardo la solidità della relazione osservata da Phillips nacquero in seguito alla stagflazione degli anni ‘70. In quel periodo infatti si assistette alla contemporanea presenza di alta disoccupazione e alta inflazione.
Una spiegazione per questa incoerenza rispetto alla curva è stata presentata da Robert J. Gordon in “Triangle model of inflation” considerando la Build-in inflation, cioè l’inflazione che si viene a creare a seguito di shock dal lato dell’offerta o a causa di aspettative elevate di inflazione.
L’inflazione così generata può portare a una spirale prezzi-salari che si autoalimenta. Aumentando le aspettative sull’inflazione, la curva si sposta in alto e verso destra aumentando i valori assegnati all’inflazione per ogni valore del tasso di disoccupazione.
Le incoerenze di questa teoria sono state spiegate anche attraverso il NAIRU (Non-Accelerating Inflation Rate Of Unemployment), una teoria che afferma ci sia una sostanziale differenza tra curva di Phillips di breve e lungo periodo.
Secondo il NAIRU è previsto che nel lungo periodo vi sia solo un tasso di disoccupazione: quello naturale, costante nel tempo e rispetto al quale si può dunque osservare qualsiasi livello di inflazione. Il premio Nobel Paul Krugman ha messo in discussione la possibilità di utilizzare la curva di Phillips come strumento a supporto della politica monetaria, a causa della difficoltà di stima dei parametri che legano inflazione, disoccupazione e output gap.
Con il tempo la curva è difatti diventata un concetto sempre più teorico, dai risvolti difficili da stimare. Nonostante ciò, alcune Banche centrali utilizzano ancora la curva nella propria operatività di politica monetaria. La BCE utilizza una versione più sofisticata, la New Keynesian Phillips curve, che si basa su un’ipotesi di rigidità dei prezzi che si aggiustano solo parzialmente nel breve periodo per effetto delle aspettative.
Mentre a lungo termine la curva di Phillips diventa meno rilevante – perché l’economia ritorna al tasso naturale di disoccupazione indipendentemente dal tasso di inflazione - questa teoria è ancora utilizzata a breve termine.