La speculazione valutaria del 97 e la crisi delle Tigri Asiatiche | Investire.biz

La speculazione valutaria del 97 e la crisi delle Tigri Asiatiche

02 lug 2020 - 08:03

06 dic 2022 - 09:52

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Il 2 luglio del 1997 ebbe inizio una violenta speculazione che colpì le valute di alcuni Paesi dell'Est Asiatico. Ecco spiegate le ragioni di una crisi che durò per anni

La crisi delle Tigri asiatiche del 1997 rappresenta una di quelle situazioni in cui forti crescite economiche basate sull'indebitamento sono destinate nel tempo a manifestare le loro contraddizioni e quindi a subire imponenti inversioni di tendenza. Il 2 luglio di quell'anno ci fu una serie di attacchi speculativi che colpirono le valute nazionali di alcuni Paesi dell'Est asiatico come la Thailandia, l'Indonesia e la Corea del Sud, ma che poi si rifletterono sui mercati azionari e quindi sull'economia degli Stati.

 

Il contesto storico in cui maturò la crisi 

Per comprendere il fenomeno di quel che successe nel luglio di quell'anno bisogna fare un passo indietro di 30 anni, quando quella zona dell'Asia viveva in una condizione di miseria e disagio. Il forte risparmio e una serie di politiche mirate all'investimento nell'istruzione e nel progresso tecnologico ben presto migliorarono le condizioni socio economiche delle popolazioni portando il divario con l'Occidente a ridursi progressivamente.

Il progresso fu sostenuto da finanziamenti facili da parte degli istituti di credito che, nonostante fossero sottocapitalizzati, erogavano denaro a tassi molto bassi. Le banche viaggiavano sicure in quanto si cullavano sul fatto che comunque il denaro investito sarebbe rientrato, nel caso si manifestassero fenomeni d'insolvenza, grazie alle garanzie governative. Forti di questa generosità monetaria le imprese si gettarono a capofitto negli investimenti mantenendo un'esposizione eccessiva.

La Thailandia nel decennio precedente crebbe a un tasso del 9% annuo e questo attirava enormemente capitali dall'estero. Addirittura i flussi arrivarono a rappresentare il 14% del PIL nazionale. L'Indonesia contava su una bilancia commerciale che registrava un saldo positivo di 900 milioni di dollari e un sistema bancario fino a quel momento tra i più solidi.  Mentre la Corea del Sud, grazie agli investimenti tecnologici soprattutto in microchip e alla lotta all'analfabetismo, riuscì in 30 anni ad aumentare il reddito pro capite di ben 8 volte. Con tutte queste premesse tra il 1996 e il 1997 il credito bancario nei tre Paesi arrivò alla quota gigantesca di 60 miliardi di dollari.

Il problema di fondo in tutto questo sistema ben architettato fu la dollarizzazione delle monete nazionali, ossia queste ultime furono ancorate al Dollaro americano. E fin quando il biglietto verde si manteneva relativamente debole i beni dei Paesi asiatici avevano un vantaggio competitivo notevole nelle esportazioni da cui le economie domestiche dipendevano. Quando poi la valuta statunitense cominciò a rivalutarsi sia sullo Yen che sullo Yuan cominciarono ad aprirsi le crepe.

 

Tigri asiatiche: lo scoppio della crisi

Così il 2 luglio 1997 nei mercati valutari successe qualcosa di grosso. Il Bath thailandese, che si era rivalutato tantissimo rispetto a gran parte delle Majors, fu sganciato dal paniere di valute che comprendeva il Dollaro USA, lo Yen e il Marco. A quel punto, una volta libero di fluttuare sul mercato nazionalei, il Bath crollò del 15% sui mercati valutari. E nei giorni successivi ci furono altre pesanti svalutazioni.

Le autorità monetaria intervennero cercando di arginare la piena attraverso rialzi dei tassi e il ricorso alle riserve valutarie, ma non ebbero successo.

L'idea di svalutare la moneta era stata sempre bocciata dal Governo di Bangkok, anche dopo i primi focolai speculativi del maggio di quell'anno. L'allora Primo Ministro Chavalit Yongchaiyudh temeva un'impennata dell'inflazione dovuta al peggioramento delle importazioni. Adesso però l'attacco speculativo stava provocando il fallimento di alcune aziende importanti e la conseguente fuga di capitali. Ne conseguì che tutto il sistema bancario, che si era molto esposto in quegli anni, andò in gravi difficoltà.

La furia degli speculatori arrivò ben presto In Indonesia, con la rupia indiana che oscillava violentemente nella banda che aveva stabilito il Governo del 12%. Ad agosto però quest'ultimo si arrese e lasciò libera flessibilità al cambio. cosa che portò a una pesante svalutazione valutaria.

Lo stesso valse per il Won coreano che iniziò un indebolimento che lo portò a svalutarsi in pochi mesi del 110% rispetto al Dollaro USA.

Il terremoto valutario che si venne a creare scatenò inevitabilmente una fuga di capitali da parte degli investitori che ora correvano per convertire gli investimenti in moneta forte. Le imprese che erano indebitate in dollari videro lievitare il costo del proprio debito, dovendo pagare un prezzo salato nella conversione da valute gravemente svalutate. Di conseguenza il sistema bancario saltò, i Governi si trovarono in grave crisi di liquidità e cominciarono a manifestarsi fenomeni inflattivi e crisi occupazionale.

 

L'intervento del Fondo Monetario Internazionale

Il fiume in piena non si riuscì ad arginare in alcun modo. Così nell'agosto del 1997 il FMI cercò di mettere una pezza all'enorme vuoto di liquidità che il sistema dovette affrontare, attraverso un prestito alla Thailandia di 20 miliardi di dollari. Il finanziamento era ovviamente condizionato ad alcune misure che Bangkok doveva prendere tipo il taglio della spesa pubblica e l'aumento della pressione fiscale. Nel frattempo i tassi di interesse furono alzati a più riprese. Ciò nonostante fu tutto inutile. Anche se investire in bond governativi era una cosa vantaggiosa dal punto di vista del rendimento atteso, la totale sfiducia nelle istituzioni alimentò ancora di più il deflusso di capitali per liberarsi della moneta locale. Alla fine del 1997 il Bath si contrasse di oltre il 60%.

Un mese dopo il finanziamento concesso alla Thailandia, il FMI fece la stessa cosa con l'Indonesia: 23 miliardi di dollari finirono nelle casse di Giacarta. Ma anche in questo caso il denaro finì per inondare il mercato indonesiano di valuta nazionale portando la Rupia al minimo storico. Nel mese di gennaio del 1998 la divisa perse qualcosa come l'85% del suo valore.

La Corea del Sud dal canto suo ricevette dal FMI 58 miliardi di prestiti ma le gravi condizioni di austerità imposte paralizzarono l'economia e colossi come Samsung e Daewoo persero in quell'anno svariati milioni di dollari.

L'operato dell'istituto monetario fu molto criticato in quel periodo. Alcuni contestarono il fatto che questi prestiti servissero davvero per rilanciare l'economia, viste le rigide condizioni a cui i Paesi riceventi erano sottoposti. Anzi vi si era istillata nella mente il dubbio che la funzione effettiva di questi soldi fosse quella di salvare gli istituti bancari che si erano scelleratamente esposti con le imprese indebitate.

 

Il superamento della crisi

Dopo lo shock di quegli anni, le Tigri asiatiche lentamente cominciarono a stabilizzare l'economia. La Banca Mondiale e i Paesi del G7 si unirono al supporto del FMI e le riforme dettate ai Governi locali sortirono gradualmente i loro effetti. Tra queste riforme, a parte le restrizioni fiscali e di spesa pubblica si ricordano:  la riduzione o l'eliminazione dei sussidi statali; la flessibilità del cambio; l'innalzamento dei tassi di interesse per contenere l'inflazione e la flessibilità nel mercato del lavoro.

La Thailandia produsse un nuovo sistema fiscale che le permise nel 2004 di annullare il deficit; mentre nel 2006 il Bath cominciò un percorso di rafforzamento che si accompagnò a una crescita sostenuta del Paese.

L'Indonesia seguì un percorso simile, ma la grande sorpresa fu la Corea del Sud che ha dovuto affrontare diversi casi di bancarotta e di alcuni grosse aziende come Daewoo che furono salvate grazie a operazioni di incorporazione (nella fattispecie con General Motors). Però Seul è riuscita a crescere a un ritmo impressionante, dal 97 ad oggi, triplicando il PIL e ponendosi come una delle economie più prospere a livello mondiale.

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