La guerra Russia-Ucraina rappresenta una grave minaccia per l'intero pianeta dal punto di vista economico, soprattutto per quei Continenti come l'Europa che sono strettamente dipendenti dalle forniture di materie prime che giungono da Mosca. Gli Stati Uniti però non sono affatto esenti da pericoli per la propria economia, che al momento è messa fortemente sotto pressione da un'inflazione aggressiva che non accenna a rallentare.
La grande preoccupazione per la Casa Bianca è che la crisi energetica alimentata dal conflitto nell'Est Europa possa incidere sui consumi degli americani, in maniera particolare attraverso il costo della benzina che si avvicina a 4 dollari al gallone. Le ultime risultanze del mondo del lavoro tuttavia danno per il momento buoni segnali, con 678 mila nuovi posti di lavoro creati a fronte di 400 mila previsti e un tasso di disoccupazione che scende al 3,8% avvicinandosi al livello di piena occupazione, uno dei grandi target della Federal Reserve.
Proprio la Banca Centrale USA ha una una bella matassa da sbrogliare a partire dalla prossima riunione del 15-16 marzo sul fronte della politica monetaria, perché deve decidere se essere particolarmente aggressiva per bloccare la crescita dei prezzi oppure procedere con cautela per non danneggiare la crescita economica. Il punto è molto delicato perché una stretta eccessiva sui tassi potrebbe non avere l'effetto sperato su un'inflazione che dipende essenzialmente dalle strozzature dell'offerta e nel contempo far correre il rischio di una recessione.
Negli ultimi giorni, con la testimonianza di Jerome Powell davanti al Congresso, il Governatore ha fatto capire che il tasso ufficiale di sconto a marzo sarà aumentato ma solo di un quarto di punto percentuale, quindi si può pensare a una certa prudenza seguita da parte dell'istituto monetario, almeno nella fase iniziale e fino a quando non si definiranno meglio gli sviluppi sulla situazione Russia-Ucraina. Per il resto dell'anno le strette potrebbero essere da 5 a 7, ma Powell ha rassicurato i mercati dicendo che la Fed sarà sempre vigile sui riflessi che ogni mossa avrà sull'economia a stelle e strisce.
USA: l'economia non è pronta per una Fed aggressiva
Alcuni economisti esprimono una certa apprensione per gli effetti che questa guerra avrà alla fine sugli Stati Uniti dal punto di vista economico. Nancy Lazar, capo economista globale di Piper Sandler, ha dichiarato che anche prima dell'invasione russa l'economia USA era sulla buona strada per rallentare. I fattori che avevano posto un freno, secondo l'esperta, sarebbero stati il prezzo del petrolio passato da 40 a 75 dollari, la crescita dei rendimenti obbligazionari arrivati intorno al 2% e l'inasprimento generale della Banca Centrale statunitense con l'avvio del tapering e le prospettive di rialzo del costo del denaro.
Lazar puntualizza come l'aumento dei prezzi della benzina vada a colpire più direttamente i consumatori di fascia bassa, creando uno shock che va a erodere il loro potere d'acquisto. Sul fronte delle materie prime però non è solo il petrolio a destare preoccupazione per i consumatori, ma anche i beni agricoli come il grano il cui aumento di prezzo incide sugli acquisti dei generi alimentari.
Tuttavia, l'economista individua alcuni settori dove la crescita dei prezzi è più sana, come i viaggi e il tempo libero. Per quel che riguarda il mercato del lavoro, Lazar sostiene che sia ancora sano e in grado di sostenere i redditi. Infine non si aspetta che la Federale Reserve inauguri un lungo ciclo di aumento dei tassi d'interesse, proprio perché terrà conto di un contesto generale in cui l'economia su molte aree è ancora claudicante.