È il 30 luglio 2003 quando la Cirio Finanziaria, una delle grandi società del gruppo Cirio, viene messa in liquidazione. La motivazione è quella dell'accertamento dello stato d'insolvenza che comporta l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.
Il progetto di ristrutturazione proposto dagli advisor del gruppo viene bocciato da parte dell'assemblea degli obbligazionisti e l'attività non può più andare avanti. Questo è solo l'epilogo di una vicenda che ha visto andare in fumo il denaro di investitori che avevano comprato i bond della società credendo in un gruppo all'apparenza solido ma che nascondeva delle autentiche voragini finanziarie.
Tutto parte da un giorno di novembre 2002 quando la Cirio Finance Luxemburg, una società di diritto olandese facente parte della holding di Sergio Cragnotti, dichiara l'incapacità di rimborsare obbligazioni per 150 milioni di euro e fa scattare il default. Da qui si viene a creare una reazione a catena che porta al crollo, mattone dopo mattone, del castello costruito dall'imprenditore romano.
Crac Cirio: un impero che poggia sul debito
La storia ha inizio nel 1991 con la costituzione della Cragnotti & Partners Investments NV, holding di partecipazioni di diritto olandese che fa capo all’imprenditore Sergio Cragnotti. Quest'ultimo è accompagnato da una serie di soci rappresentati da primarie banche d'affari internazionali che detengono un'opzione put sulla loro quota. L'opzione dà loro il diritto di vendere la quota allo stesso Cragnotti in qualsiasi momento.
La holding si muove in vari settori, soprattutto in quelli dei detergenti e del latte. Numerose sono le acquisizioni fatte negli anni '90, come ad esempio la Polenghi e la Cirio-Bertolli-De Rica. Quest'ultima nel 1997 ha una partecipazione del 90% del capitale della Società Sportiva Lazio Spa, la quale entra di diritto nel gruppo Cirio.
L'anno successivo Cragnotti acquista dal Comune di Roma il 75% della Centrale del Latte di Roma Spa sborsando una cifra di 80 miliardi di lire. Lo stesso anno il gruppo investe anche nel settore delle piantagioni con l'acquisizione di Del Monte Royal, holding costituita da tutta una serie di società finanziarie. L'esborso monetario di quesa operazione è molto esoso e la struttura finanziaria della Cragnotti & Partners Investments NV ne risente pesantemente. Così cominciano le dismissioni, soprattutto della brasiliana Bombrill che era stata acquisita nel 1991 e che a sua volta aveva acquistato Cirio nel 1997 per 380 milioni di dollari. Due anni dopo Cirio ritorna alla Holding di Cragnotti e Cirio Finanziaria torna ad essere definitivamente capogruppo comprando la partecipazione in Bombrill per 620 milioni di dollari.
Tutte queste complesse operazioni delineano una struttura societaria dove la Cragnotti & Partners Investments detiene le seguenti partecipazioni: 98,30% della Cirio Holding Spa la quale controlla con il 63% la Cirio Finanziaria che a sua volta controlla una serie infinita di partecipate; 99,71% della Cirio Holding Luxembourg SA che è partecipata da altre società del gruppo.
Alla fine del 2000 il gruppo ha un'esposizione debitoria allarmante. La Cirio Holding passa da un indebitamento del 20% del fatturato nel 1994 a uno del 160% nel 2002. Questo nonostante i ricavi dal 1998 al 2002 si sono quadruplicati. Il problema di fondo è che a fronte di investimenti che avranno un ritorno a lunga scadenza, si sono contratti debiti verso le banche che scadono a breve termine.
Tale realtà induce il gruppo Cirio ad emettere una serie di obbligazioni che raggiungono una cifra di 1.125 miliardi nell'arco di tre anni. L'emissione avviene attraverso società veicolo del gruppo costituite appositamente per queste tipologie di operazioni finanziarie: Cirio Finance Luxembourg, Cirio Finanziaria Spa, Cirio Holding Luxembourg SA, Del Monte Finance Luxembourg SA e Cirio Del Monte NV.
Tali obbligazioni, denominati poi Cirio Bond, sono collocate da alcune banche d'affari che ne attribuiscono il rating in modo del tutto arbitrario. L'aspetto più controverso è che non esiste un prospetto informativo per questi bond, quindi non possono essere venduti allo sportello attraverso la sollecitazione al pubblico risparmio, ma solo su richiesta esplicita del cliente. Già questo di suo avrebbe dovuto far accendere un faro da parte della CONSOB e della Banca d'Italia, cosa che evidentemente non è stata fatta.
Ad ogni modo l'obiettivo è quello di arrivare a una ristrutturazione finanziaria del debito allungando la scadenza dei prestiti. L'effetto che si ottiene è solo quello di spostare l'indebitamento dalle banche (che hanno nel frattempo hanno tutte esercitato l'opzione put o il cui finanziamento è stato rimborsato) agli obbligazionisti. Alla fine del 1999 l'ammontare del debito è rappresentato dal 94% di prestiti bancari e dal 6% di obbligazioni. Nel 2002 invece il peso specifico s'inverte e diventa rispettivamente 28% e 72%.
La ristrutturazione non ha successo per via della redditualità del gruppo che non decolla e agli inizi di novembre 2002 risulta evidente che i fondi necessari per pagare gli obbligazionisti non saranno reperiti in alcun modo. Il default è imminente e il titolo Cirio viene sospeso dalle contrattazioni di Borsa. Il 7 novembre 2002 il Trustee inglese Law Debenture dichiara che l’obbligazione emessa da Cirio Finance Luxemburg e scaduta il 3 novembre dello stesso anno non sarà rimborsata.
Crac Cirio: l'intervento del Governo e la ristrutturazione finanziaria
La situazione critica che si è venuta a delineare accende il dibattito sulla necessità o meno di salvare un apparato industriale che dà lavoro a molte famiglie. Così il Governo progetta un finanziamento ponte che riguarda il comparto alimentare del gruppo.
Allo stesso tempo i vertici societari si affidano a degli advisor per organizzare la ristrutturazione del debito: la Bain & Company Italia; la Livolsi & Partners spa e Rotschild Italia Spa. Il piano elaborato dai consiglieri arriva nel tavolo della Holding nel maggio del 2003 e prevede la trasformazione di parte dei debiti in azioni Cirio Finanziaria emesse con aumento di capitale. Questo ovviamente comporta la conseguente rinuncia degli obbligazionisti e delle banche di parte del loro credito verso l'azienda.
La CONSOB approva l'aumento di capitale però il piano di ristrutturazione deve passare per l'assemblea degli obbligazionisti. In tutto questo vi è un punto oscuro: qualora passasse l'accettazione, gli obbligazionisti non potrebbero agire in via giudiziale nei confronti delle banche che hanno collocato le obbligazioni. Questo aspetto è il leit motiv che spinge l'assemblea a bocciare il piano e a spianare la strada verso la messa in liquidazione del gruppo Cirio. Il 7 agosto 2003, il Tribunale di Roma sentenzia lo stato di insolvenza e assoggetta la Cirio Holding Spa, la Cirio Finanziaria Spa e la Cirio Del Monte Italia alla procedura di amministrazione straordinaria.
Crac Cirio: le vicende giudiziarie
Dopo il commissariamento del gruppo Cirio, il patron Sergio Cragnotti viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Roma e arrestato nel febbraio del 2004.
Il 5 luglio del 2011 arriva la prima sentenza dei giudici del tribunale di Roma, che condanna il finanziere romano per bancarotta fraudolenta, con una pena di 9 anni di reclusione. In appello gli anni di detenzione vengono ridotti a 8 e 8 mesi. La Cassazione il 5 ottobre 2017 annulla la sentenza e assolve definitivamente Cragnotti per il crac Cirio, mentre per la vicenda Bombril rinvia il processo, che in Corte d'Appello era stato risolto con una pena detentiva di 5 anni e 3 mesi.Per il banchiere Cesare Geronzi invece vi è la condanna definitiva a 4 anni di reclusione.
In definitiva per il crac Cirio non sono stati in molti a pagare. Soprattutto non sono emerse le responsabilità da parte degli Organi di Vigilanza che avrebbero dovuto controllare quello che stavano facendo gli istituti di credito quando hanno collocato i prodotti finanziari. Una parte dei 35 mila risparmiatori coinvolti ancora aspettano il rimborso delle loro obbligazioni, nonostante le strenue lotte delle associazioni dei consumatori. Un'altra parte è riuscita a chiudere accordi transattivi con Unicredit.
La ferita rimane ancora aperta e questa vicenda si appresta ad essere un altro di quegli innumerevoli casi che hanno interessato le pagine più oscure della finanza italiana e che sono rimasti senza colpevoli.