Dopo essere riuscita per il momento a debellare il Coronavirus, la Cina si sta lentamente riprendendo. In questo momento di ritorno alla normalità si è inaugurata la fase del “revenge spending”, letteralmente “la spesa della vendetta”. Dopo settimane in cui la spesa era concentrata su beni di prima necessità, ora la popolazione cinese si vuole “vendicare” del virus e consolarsi con spese di ogni tipo, anche “superflue”.
Origine del termine revenge spending
Il “revenge spending” fu un'espressione lanciata negli anni '80 per descrivere la fame di prodotti stranieri che in Cina erano stati a lungo proibiti fino a quando Deng Xiaoping non aprì il Paese all'economia di mercato, lasciando che tutti i brand europei e americani sbarcassero finalmente nei negozi. Se nel resto del mondo le lunghe code si fanno davanti ai supermercati per accaparrarsi i beni di prima necessità durante la quarantena, in Cina sta avvenendo l’esatto contrario. Le code si fanno per fare spese di ogni tipo, per riprendere una boccata di aria fresca, per ritrovare quella sensazione di libertà che sembrava perduta, ma soprattutto per vendicarsi del virus.
Revenge spending: la fase 2 cinese che potrebbe contagiare il mondo
Dopo il blocco di inizio 2020 causato dal diffondersi del Coronavirus, la Cina ora sembra essere tornata alla quasi normalità, salvo le restrizioni ancora attive per chi torna dall’estero e per quelle aree dove si registrano nuovi (modesti) contagi. Circa Il 70% delle attività economiche sono ripartite e diversi analisti ritengono che i due settori che traineranno la ripresa saranno il turismo e il lusso. Lo dimostra la performance della nuova boutique di Hermès nel complesso di Taikoo Hui a Guangzhou, che l’11 aprile ha riaperto i battenti: secondo quanto scrive il magazine statunitense "Women's Wear Daily", in un solo giorno l'atelier della maison francese ha registrato un incasso di 2,7 milioni di dollari, fatturato mai raggiunto prima da un negozio in Cina.
Le aziende italiane, ancora fortemente colpite e ingessate, dovrebbero tenere presente che questa è una grande occasione per il Made in Italy perché saranno proprio i cinesi i primi a tornare a comprarlo. La risposta dei consumatori cinesi è quindi un interessante indicatore per comprendere come potrebbero comportarsi anche gli altri consumatori del mondo una volta terminato il periodo di lookdown.
Il paragone con la Sars
China Skinny, società di marketing e strategie molto famosa in Cina, prevede una ripresa “esplosiva” del settore turismo, domestico e verso l’estero, sulla base di quello che successe nel 2003, quando si concluse l’emergenza sanitaria legata alla Sars.
Sheryl Shen, Associate Marketing Manager di China Skinny, intervistata dal China Daily, ricorda che durante la Golden Week dell’ottobre 2003, prima occasione festiva dopo la crisi Sars, il numero di voli fece un balzo del 200% rispetto all’anno precedente. Per lo Spring Festival del 2004, l’aumento fu del 201% rispetto allo stesso periodo del 2003, un mese prima dello scoppio della Sars. Oggi la voglia di spendere sembra più forte rispetto al passato e si concentra soprattutto su beni non necessari: lusso, ristorazione, intrattenimento e viaggi saranno i settori maggiormente coinvolti in questa rinascita dei consumi nel post pandemia.
Tuttavia è improbabile che un’infiammata di spese compensi tutti gli acquisti persi in questi ultimi mesi. Secondo un’indagine di Boston Consulting Group e Sanford C. Bernstein, la perdita nel settore del turismo cinese dovrebbe attestarsi a circa 40 miliardi di euro nel 2020.
Discorso diverso per i negozi fisici. Secondo il consensus degli economisti di Bloomberg, questi non subiranno un tracollo: la voglia di acquisto fisico dopo tanto shopping online diventerà quasi un’esigenza, anche se alcuni comportamenti di consumo cambieranno per sempre dopo la fine della pandemia.
Revenge spending: next driver dei mercati finanziari?
Il revenge spending non è un fenomeno tipico dei Paesi occidentali, i quali stanno sperimentando per la prima volta una chiusura totale all’acquisto fisico. Inoltre, non è detto che avrà le stesse dimensioni di quello cinese. Cosa accadrà in Occidente è ancora tutto da vedere e dipenderà molto dalla fiducia dei consumatori alla fine della pandemia, dalla loro capacità di spesa e dal livello di disoccupazione nei diversi paesi.
Se quanto sta succedendo in Cina dovesse accadere anche in Occidente il danno economico derivante dalla crisi risulterebbe meno pesante per le aziende e di conseguenza per gli Stati, i quali avranno un maggior gettito fiscale e potranno contare anche su minori uscite legate alla cassa integrazione e alle altre forme di sostegno alla disoccupazione. Una ripresa dei consumi aiuterebbe le imprese e di riflesso anche le quotazioni dei mercati azionari globali, che potranno auspicabilmente lasciarsi finalmente alle spalle il crollo verticale visto tra febbraio e marzo.