La storia di Wall Street è stata caratterizzata da grandi crisi finanziarie, molto spesso sorte a seguito di un lungo periodo di euforia. A volte i disastri finanziari si sono intrecciati con quelli dell'economia, rendendo difficile distinguere se gli uni siano stati la causa o l'effetto degli altri. Ad ogni modo, entrambi sono rimasti legati a doppio filo.
L'unica cosa certa è che ogni grande crisi ha decretato vincitori e perdenti. I primi sono stati coloro che avevano fiutato in anticipo ciò che stava per accadere, perché l'euforia dei mercati magari era arrivata al punto da creare una bolla. Di conseguenza, si sono messi in una posizione di vendita traendo vantaggio quando il sell-off è arrivato.
Il caso emblematico è stato quello di Michael Burry, il fondatore dell'hedge fund Scion Capital, che con il suo fondo di investimento puntò contro le obbligazioni cartolarizzate legate ai mutui subprime durante la crisi del 2008. I perdenti sono stati quelli che non hanno resistito alla tentazione di entrare in un mercato in costante ascesa, ma che aveva raggiunto livelli di bolla.
Wall Street: la reazione dei mercati dopo le grandi crisi
Wall Street comunque storicamente è una Borsa che sale nel tempo. Quindi, dopo ogni grande crisi, le azioni si sono sempre riprese. Il punto è quanto tempo ci hanno messo a farlo. Di seguito vediamo una panoramica di quello che è accaduto dopo alcune dei peggiori cigni neri della storia di Wall Street.
La Grande Depressione del '29
Il crollo del 1929 fu il momento più critico mai vissuto per l'economia e per la Borsa americana. Gli Stati Uniti dovettero combattere con una recessione che durò oltre un decennio, ossia fino a quando non entrano nella Seconda guerra mondiale. Nel 1933 in USA la disoccupazione balzò al 25% e la popolazione, sempre più esasperata, chiese al governo misure forti per sostenere gli anziani e i senza lavoro.
Fu allora che nacque la Social Security. A Wall Street successe il finimondo. La mattina di martedì 29 ottobre del 1929 alla Borsa di New York 16 milioni di azioni furono tempestate da ordini di vendita. Nell'arco di mezza giornata, 14 miliardi di dollari andarono in fumo, con il Dow Jones che sprofondò del 12% e gran parte delle azioni delle più grandi società che persero fino al 50% del loro valore. Il 3 settembre di quell'anno l'indice aveva raggiunto un picco di 381,17 punti; si dovette aspettare fino al 23 novembre del 1954 per rivedere quel livello.
Il lunedì nero del 1987
Il collasso della Borsa americana del 19 ottobre 1987 passò alla storia come il
lunedì nero di Wall Street, in cui il
Dow Jones perse ben 22 punti percentuali in una sola seduta registrando il più grande crollo azionario giornaliero della storia. A tanti anni di distanza non sono ancora del tutto chiare le ragioni di un sell-off così violento, perché nessun fatto economico era di una tale portata da giustificare un'autentica grandinata di vendite.
Di certo ci fu che i sistemi automatizzati andarono in tilt e gli stop loss ad essi collegati saltarono in serie. La dimostrazione che a guidare il crollo dei mercati furono ragioni di natura tecnico-speculativa e non connesse ai fondamentali dell'economia, è data dal fatto che ben presto gli operatori tornarono ad acquistare le azioni, con gli indici che recuperarono rapidamente buona parte delle perdite.
La bolla delle dot-com di inizio millennio
La bolla delle dot-com fu il classico esempio di un rialzo delle azioni sganciato dai fondamentali. Dal 1995 al 10 marzo 2000, le aziende di Internet intrapresero un percorso ascendente inarrestabile, con il Nasdaq che arrivò a un picco di 5.048 punti. Quelle però erano per lo più start-up in perdita, tirate su solo da un entusiasmo cieco per la tecnologia dell'epoca.
I nodi vennero al pettine quando il mercato cominciò a ragionare e a trasmettere nei prezzi il fatto che tali aziende non avessero fondamentali da poter giustificare certe valutazioni. L'effetto sui mercati di questa consapevolezza fu devastante e a inizio ottobre del 2002, il Nasdaq era piombato ad appena 1.139 punti registrando una perdita di oltre tre quarti di valore dal massimo storico. Il recupero dell'indice borsistico tecnologico americano fu molto lento e solo a novembre del 2014 le vette della primavera del 2000 vennero rivisitate.
La crisi del 2008
Nell'agosto del 2007 il Dow Jones raggiunse il più alto valore di sempre fino ad allora, in preda a un'euforia diffusa e con un mercato immobiliare in continua crescita. Gli investitori erano totalmente ignari della tempesta finanziaria che da lì a poco si sarebbe abbattuta sulla Borsa americana. Le altre piazze finanziarie mondiali caddero come le tessere del domino, davanti a quella che si manifestò come una crisi economica planetaria. Cosa successe?
Le banche avevano riempito i propri bilanci di asset legati ai mutui ipotecari subprime, ossia prestiti concessi a un tasso elevato e soggetti non finanziabili. La conseguenza di quell'enorme castello di carta è facilmente intuibile. Fino al marzo 2009 il mercato non si riprese e il Dow Jones impiegò sei anni - ovvero a marzo 2013 - per tornare ai top del 2007.
La pandemia del 2020
Nel 2020 non furono né una bolla, né eventi macroeconomici a scatenare un autentico tsunami sui mercati finanziari che si associò alla più grande crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Si trattò invece di un virus, il Covid-19, che costrinse l'Organizzazione Mondiale della Sanità a dichiarare a marzo 2020 la pandemia in tutto il mondo. Le conseguenze furono devastanti, perché le attività aziendali vennero fermate per il lockdown e molte imprese dovettero chiudere definitivamente.
Negli Stati Uniti, decine di milioni di americani persero il posto di lavoro e la Borsa subì la caduta più rapida della storia perdendo oltre 30 punti percentuali da metà febbraio al 23 marzo. L'economia statunitense andò in recessione, ma per la verità ciò durò solo un paio di mesi, grazie soprattutto alla gigantesca quantità di denaro che la Federal Reserve iniettò nel sistema finanziario. Ciò servì per far recuperare le azioni a Wall Street, con l'S&P 500 che impiegò appena sei mesi per ritornare al massimo storico di 3.393 punti registrato a febbraio.