Il 2022 è stato un anno molto difficile per Wall Street. Un'inflazione straripante al di là di ogni più fervida immaginazione ha avuto il potere di
destabilizzare la Federal Reserve, che l'aveva sottovalutata per lungo tempo definendola un fenomeno transitorio. La Banca Centrale americana si è dovuta ricredere sempre di più, al punto da
aumentare progressivamente l'aggressività della sua politica monetaria nel tentativo di abbattere quello che è diventato il nemico numero uno.
Lo stravolgimento dell'istituto centrale ha seminato il panico tra gli investitori, soprattutto di alcuni comparti che negli anni passati erano cresciuti di più in Borsa come quello tecnologico. L'aumento dei tassi d'interesse della Fed è stato esiziale per le azioni tech, perché ha incrementato l'onerosità dei prestiti per finanziare gli investimenti da parte delle aziende votate alla crescita e reso meno preziosi i ritorni futuri attualizzati.
Rendimenti più alti hanno però colpito in ordine sparso un po' tutte le azioni sul mercato, eccezion fatta per quelle energetiche, le quali hanno invece galoppato insieme al rally delle materie prime. A un certo punto, infatti, è subentrato il timore che le strette sui tassi della Banca Centrale potessero innescare una recessione più o meno violenta, in grado di ridimensionare gli utili aziendali.
Wall Street: perché le azioni potrebbero tornare a salire
Oggi gran parte di tutte le negatività che hanno guidato le quotazioni di Wall Street al ribasso è già stata scontata dal mercato. Piuttosto ci sono segnali importanti che forse la Borsa americana abbia toccato il fondo. Uno arriva dalle quotazioni delle materie prime. Molte sono crollate nell'ultimo mese dai loro massimi, in modo particolare quelle di petrolio e rame che hanno una rilevanza importante nella determinazione dell'indice dei prezzi al consumo.
Tale aspetto può essere cruciale, perché potrebbe significare che la Fed riceverebbe una mano d'aiuto nella conduzione della politica monetaria. In altri termini, se l'inflazione comincia a scendere,
l'istituto guidato da Jerome Powell potrebbe diventare meno aggressivo. Ultimamente si è discusso se i prossimi rialzi sul costo del denaro della Fed debbano essere dello 0,75% o addirittura di un punto percentuale. Se per il mese di luglio il costo della vita avrà rallentato la sua corsa, difficilmente Powell deciderà di forzare ulteriormente la mano, con grande beneficio per le quotazioni azionarie.
Un aspetto che fa riflettere molto deriva proprio dall'ultima lettura sull'inflazione di giugno, sorprendentemente al di sopra del 9%. Da quel momento la Borsa americana non ha fatto quasi una piega. È chiaro che molte delle notizie, anche le meno attese, siano già incorporate nei prezzi; ma se questo invece fosse un segnale che gli indici azionari non hanno più la forza per scendere in basso come ce l'avevano prima?
Infine, vanno fatte delle considerazioni riguardo gli utili stimati dagli analisti, che potrebbero guidare i prezzi delle azioni. Fino a poco tempo fa vi era il rischio che le stime fossero eccessivamente ottimistiche, in quanto basate su trimestri passati eccezionali. Recentemente però gli analisti hanno cominciato a correggere il tiro e i guadagni attesi sono stati rivisti.
Ancora il rischio esiste, perché alcuni ritengono che le proiezioni siano troppo alte e le risultanze delle trimestrali finiranno per causare ulteriori ribassi nei prezzi dei titoli in Borsa. Ed Yardeni, numero uno di Yardeni Research, afferma però che tutto ciò potrebbe essere già nei prezzi attuali. E questa sarebbe una buona notizia.