La soia negli ultimi 12 mesi ha visto crescere i prezzi del 12%, in un contesto di un rally generale delle materie prime che ha provocato un'inflazione alimentare. La guerra Russia-Ucraina ha alimentato un trend che comunque era già in corso, innescato da altri fattori che hanno determinato colli di bottiglia dal lato dell'offerta. Ad esempio la grave siccità causata da La Niña in Sud America, così come pure la carenza di fertilizzanti che favorisce la semina di colture come la soia.
Inoltre, molti agricoltori sono passati alla farina di soia per i loro animali, dal momento che i prezzi del grano sono aumentati in maniera considerevole. Dal lato della domanda poi vi è stata una crescita importante, con la Cina che acquista una quantità enorme di soia, essendo il principale consumatore di carne di maiale al mondo. Pechino infatti necessita di un livello di mangime superiore rispetto al passato, dal momento che sta ricostruendo le mandrie, decimate negli ultimi anni dalla peste suina africana.
Soia: una società che guadagna da aumento prezzi
La crescita delle quotazioni della soia avvantaggia Bunge, il gigante agroalimentare statunitense con sede a Chesterfield, Missouri. L'azienda acquista i semi di soia, li trasporta, li immagazzina e poi li elabora nel prodotto finito che vende sul mercato. Il prodotto finale riguarda il mangime per il bestiame, l'olio da cucina e i biocarburanti.
In teoria, l'aumento del prezzo della materia prima dovrebbe avere un effetto negativo sui profitti di Bunge, in pratica avviene l'esatto contrario. Il motivo è che l'azienda ha un potere di determinazione dei prezzi tale per cui ciò che paga agli agricoltori in termini di aumenti dei costi della materia prima viene recuperato, con un margine di profitto importante nel prezzo che impone ai consumatori finali. Ad esempio, la farina di soia è aumentata del 20% nell'ultimo anno, l'olio di soia ha avuto un incremento del 40%.
Bunge inoltre sta cavalcando l'onda dell'espansione del diesel rinnovabile, prodotto in parte con oli vegetali come quello di soia. Per ora il business del diesel è una parte minoritaria dei ricavi dell'azienda, ma procede a un tasso di crescita sorprendente.
Bunge: perché investire nelle azioni
Bunge è una società in salute. Nell'ultimo esercizio ha maturato un livello di cassa di 902 milioni di dollari, quasi il triplo rispetto a 2 anni fa. Per questo, il management ha avviato un piano di buyback per 500 milioni di dollari e, in occasione della pubblicazione dei conti relativi al primo trimestre 2022, potrebbe annunciare l'aumento del dividendo, che attualmente è di 52 centesimi a trimestre, con un rendimento dell'1,9%.
L'altro aspetto molto interessante è che le azioni sono a sconto. Infatti, il titolo è negoziato ad appena 10,8 volte i guadagni attesi per il 2022. Questo è inferiore sia alla sua media di 12,9 dell'ultimo quinquennio, sia ai multipli di circa 20 dell'indice S&P 500, sia a quelli del principale competitor, Archer-Daniels-Midland, le cui azioni sono negoziate a 17,3 volte gli utili stimati per quest'anno.
Secondo gli analisti, il 27 aprile, quando Bunge pubblicherà la trimestrale, ci potrebbero essere delle sorprese positive sugli utili, stimati a 2,66 dollari per azione. La ragione è che spesso la società fornisce indicazioni estremamente prudenti e questo aiuta a far crescere le quotazioni quando poi le risultanze saranno migliori delle aspettative.