Deutsche Bank: quei derivati che nessuno sa quantificare | Investire.biz

Deutsche Bank: storia e sviluppo della prima banca tedesca

22 ago 2020 - 09:00

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Da punto di riferimento per il commercio internazionale al fango dei derivati. Raccontiamo tutte le vicende della principale banca tedesca dalla nascita ai giorni nostri

Chi sa con esattezza a quanto ammontano realmente i derivati che ha in pancia il colosso bancario tedesco? Nessuno forse è in grado di fornire delle stime precise. L'unica cosa certa è che si tratta di una cifra che non fa dormire sonni tranquilli alla banca e a tutti i soggetti coinvolti, comprese le istituzioni governative. Eppure prima del disastro, l'istituto di credito era un punto di riferimento importante per tutte le operazioni che riguardavano il medio credito e l'investment banking. Ripercorriamo così la storia di quella che è diventata negli anni una delle più grandi banche mondiali.

 

Deutsche Bank: le origini

La Deutsche Bank nasce nel 1870 come banca avente vocazione nel commercio estero. Per questa ragione da subito l'isitituto manifesta l'intenzione di far parte del più grande mercato finanziario del mondo, ossia quello londinese. Di conseguenza nel 1971 viene creata una società in accomandita per azioni, la German Bank of London, in cui la Deutsche Bank detiene il 40% delle quote come socio accomandante.

Dieci anni più tardi la stessa cosa viene fatta a Parigi e New York, proprio con l'intento di fortificare la presenza della banca tedesca all'estero. Negli anni successivi la linea rimane sempre la stessa, viene creata tutta una serie di banche consociate in Asia tramite un consorzio formato da tredici istituti di credito e denominato Deutsch-Asiatische Bank.

I finanziamenti del commercio estero si concentrano soprattutto nelle ferrovie, come ad esempio nella costruzione del Northern Pacific Railway negli Stati Uniti e della ferrovia di Baghdad nell'Impero Ottomano.

A cavallo tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 la Deutsche Bank cerca di marcare di più il territorio a livello regionale e intreccia delle alleanze con grandi banche operanti localmente in modo da avere la strada spianata per raggiungere le principali industrie tedesche. Ed ecco che vengono aperte delle filiali a Monaco, Dresda, Lipsia, Norimberga e Augusta.

La presenza all'estero comunque non viene meno e nuove sedi diventano operative in tutta l'America Latina, in particolare in Cile, Argentina, Perù, Bolivia, Uruguay e Brasile. Anche nell'Europa dell'Est, la banca tedesca lascia traccia. Infatti nel 1903 la Deutsche Bank, la Wiener Bankverein e il Regno di Romania firmano un accordo dove la prima acquista il pacchetto di maggioranza della società petrolifera Steaua Romana, le cui attività poi saranno confluite nella Deutsche Petroleum-Aktiengesellschaft.

 

Deutsche Bank: a cavallo tra le due guerre

La Prima Guerra Mondiale frena le mire espansionistiche della Deutsche Bank e le filiali nei Paesi antagonisti vengono tutte chiuse. In special modo quelle di Londra, che è la capitale finanziaria a livello mondiale. Questo significa che il principale cavallo di battaglia, che è il commercio estero, rimane azzoppato. Di conseguenza la banca tedesca deve concentrarsi maggiormente sul mercato nazionale, non avendo più accesso a quello internazionale.

L'economia tedesca dopo il conflitto va in crisi per via delle elevate spese di guerra da pagare e dell'iperinflazione che prende corpo nel Paese. Questo si riverbera sul sistema bancario e quindi sulla Deutsche Bank che, dalla più grande impresa tedesca per capitalizzazione, si ritrova ad essere l'ottava potenza industriale della Nazione. A quel punto scattano le insolvenze bancarie e i piccoli risparmiatori perdono i loro soldi che avevano sui libretti e sui conti correnti.

L'ascesa del Nazismo avvenuta nel 1933 trova complice la Deutsche Bank nell'opera di arianizzazione tramite la confisca dei beni e delle attività ebrei. Quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale, il Governo incarica l'istituto bancario a gestire alcune banche sparse nell'Europa del Nord e dell'Est, come la Banca di Credito Germano-Bulgara, la Banca Comercială Română di Bucarest, la Banca dell'Unione Boema di Praga, l'Unione Bancaria in Jugoslavia, la Banca Albert de Barry di Amsterdam e il Creditanstalt di Vienna.

 

Deutsche Bank: il dopoguerra e la rinascita

La sconfitta tedesca nella Seconda Guerra Mondiale lascia il segno e nel 1948 la Deutsche Bank, su imposizione degli Alleati che occupano la Germania, viene suddivisa in dieci banche regionali. Solo nel 1952 queste ultime vengono aggregate in tre grossi istituti di credito: la Norddeutsche Bank AG, la Suddeutsche BAnk AG e la Rheinisch-Wesfalische Bank AG. Cinque anni più tardi le tre banche si uniscono e danno vita alla nuova Deutsche Bank AG che ha la sede a Francoforte. Questo rappresenta l'inizio della rinascita del più grande istituto tedesco.

Verso la fine degli anni '70 si riprende l'idea originale che era quella di espandersi internazionalmente e quindi vengono aperti uffici in ogni parte del mondo, in particolare a Mosca, Tokyo, Parigi e Milano. Ma il vero cambio di passo avviene negli anni '80 con l'acquisizione della Banca d'America e d'Italia e l'ingresso nel settore delle banche d'affari facendo propria l'inglese Morgan Grenfell. L'impeto espansionistico prosegue senza sosta negli anni '90 con l'acquisizione della società americana Bankers Trust, la Banca Popolare di Lecco e una quota di minoranza della Cassa di Risparmio di Asti.

 

Deutsche Bank: la quotazione in Borsa e il vortice dei derivati

Il primo decennio del nuovo millennio vede ancora l'istituto tedesco in grande spolvero. Nel 2001 si quota alla Borsa di New York e successivamente rileva la terza banca privata più antica della Germania  Sal. Oppenheim, che è a un passo dal fallimento. Nel 2010 acquista la maggioranza azionaria di Deutsche Postbank.

Il 2007 è l'anno in cui cominciano le magagne. Alla guida della Deutsche Bank vi è dal 2002 lo svizzero Josef Ackermann, definito da molti banchiere senza scrupoli. Fino ad allora le piccole banche si appoggiano alla Deutsche Bank ottenendo delle linee di credito per finanziare le imprese e le famiglie.

L'istituto guidato da Ackermann vende loro prodotti derivati legati ai mutui subprime. Tutta la tossicità di questi prodotti viene fuori quando salta il sistema del credito negli Stati Uniti. La prima vittima di Ackermann è la Deutsche Industriebank che in una sola notte si vede tagliare tutte le linee di credito. Questo dà un colpo di grazia a una banca sull'orlo del fallimento, richiamando l'intervento dello Stato.

Secondo i media il messaggio che Ackermann vuole dare è quello di trasmettere la sensazione che l'istituto da lui guidato sia solido e che lo Stato debba garantire per le piccole banche.

Quando la crisi si aggrava con la bancarotta della Lehman Brothers, viene scoperto il vaso di pandora. Tutti quei prodotti derivati che il top banker aveva rifilato ai vari istituti di credito diventano spazzatura. Così parte un'inchiesta giornalistica della televisione tedesca ZDF che rivela informazioni scottanti.

Analizzando alcuni documenti della FED, la testata mette in luce come nel 2008 la Deutsche Bank prende in prestito 76 miliardi di dollari negli USA che sono serviti di fatto per rimpinguare le tasche dei vertici societari a suon di bonus generosi.

Ackermann nel contempo rifiuta soldi pubblici per risanare la banca che sta annaspando. La verità però è un'altra. Come sostiene l'attuale capo-economista della banca Folkerts-Landau, se in quel momento fosse arrivato il denaro dallo Stato, Ackermann non sarebbe più il Presidente del prestigioso istituto di credito.

Per cercare di coprire la falla che si è venuta a creare nei conti della banca, nel 2011 Ackermann si lancia in altre speculazioni velenose sui derivati. Così la Deutsche Bank emette i Contingent Convertible Bond, o meglio conosciuti come CoCo Bond. Si tratta di obbligazioni ad alto rendimento, riservate a investitori istituzionali, che si convertono automaticamente in azioni se i coefficienti patrimoniali di vigilanza finiscono sotto le soglie previste da Basilea 3. Il problema è che quando vengono emessi questi titoli, tali coefficienti sono al limite e le azioni in Borsa della banca stanno drammaticamente precipitando.

Chi acquista le obbligazioni sono soprattutto Fondi Pensioni, Assicurazioni e altre banche, allettati dagli alti rendimenti. A quel punto sorgono domande inquietanti: come verranno pagati le rendite pensionistiche e i sinistri assicurativi e che ne sarà del denaro dei risparmiatori qualora i CoCo Bond non dovessero essere rimborsati? Soprattutto alla luce del crollo azionario una volta che avviene la conversione?

Ad oggi ci sono molte ombre sulla stima effettiva dei derivati. Secondo la carta stampata, da rilevazioni al 31 marzo del 2020 la cifra netta ammonterebbe a 30 miliardi di euro, in linea con i principali competitor internazionali. Nel 2016 il celebre sito che si occupa della vicenda, Zero Hedge, stima un'esposizione in derivati per 75.000 miliardi di dollari, pari a 20 volte il PIL tedesco e a 5 volte quello di tutta la zona Euro. Nel 2018 invece la Banca dei Regolamenti Internazionali stima un valore nozionale dei derivati OTC per 530.000 miliardi di dollari.

 

DB: da Commerzbank al piano di ristrutturazione 

Le difficoltà finanziarie spingono Deutsche Bank all'inizio del 2019 a intensificare le trattative per la fusione con l'altra maggiore banca tedesca, Commerzbank. Quest'ultima versa anche lei in condizioni precarie per via dei crediti in sofferenza e della bassa redditività aziendale.

Il deal darebbe vita a un gigante del credito con 2.500 filiali, 845 miliardi di raccolta e 141 mila dipendenti. Il Governo tedesco dà la sua benedizione all'operazione, anche perché possiede il 15% delle azioni di Commerzbank. Il problema di fondo però è che, affinché l'affare vada in porto, è necessario un aumento di capitale di 10 miliardi di euro e una ristrutturazione aziendale con il taglio di 30 mila esuberi. Valutate tutte le circostanze del caso, il 25 aprile 2019 arriva la doccia fredda: entrambe le società comunicano che l'aggregazione tra i due malati terminali non si farà.

Tre mesi più tardi il CdA della Deutsche Bank approva un piano di ristrutturazione doloroso e inevitabile, che costa 7,4 miliardi di euro e che proietta la banca verso un futuro si spera meno tribolato. Il programma prevede: taglio del personale del 20% entro il 2022, che corrisponde a 18 mila lavoratori che vengono lasciati a casa; riduzione del 40% dell'attività di investment banking della banca; creazione di una bad bank verso cui far confluire tutti i crediti in sofferenza per un importo di 74 miliardi di euro.

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