I titoli tecnologici hanno perso smalto a Wall Street nel 2021. In questo periodo sembra che, dopo la corsa sfrenata durante tutto il periodo pandemico, le azioni growth abbiano esaurito la benzina, con gli investitori che prediligono maggiormente l'equity legato alla ripresa economica.
Questa rotazione settoriale si giustifica anche e soprattutto con la paura che la Federal Reserve possa alzare anzitempo i tassi d'interesse, rendendo per le società tech più oneroso il costo del finanziamento per gli investimenti nella tecnologia e nell'innovazione.
Dall'inizio dell'anno, infatti, il NASDAQ Composite è cresciuto la metà dell'indice S&P 500: 6% vs 12%. Tale differenza ha cominciato a marcarsi in parallelo alle attese inflazionistiche che si sono fatte sempre più minacciose e che inevitabilmente si sono riflesse sull'aumento dei rendimenti obbligazionari.
Big Tech: perché investire nella crescita
Gli affezionati ai FAANG dovrebbero quindi mollare la presa e liquidare le azioni che detengono in portafoglio? In verità c'è chi non la pensa proprio in questo modo. Una figura di spicco del mondo della finanza che è rimasto fedele alle Big Tech americane è sicuramente Julian Robertson, fondatore di Tiger Management, il fondo speculativo creato nel 1980 e chiuso agli investitori esterni all'inizio del 2000.
L'88enne del North Caroline sostiene che azioni come Facebook, Google e Microsoft abbiano un rapporto qualità-prezzo eccellente, nonostante multipli alti, ma che comunque non sono molto più elevati rispetto alla loro media storica.
Questa presa di posizione è significativa in quanto Robertson è famoso per essersi rifiutato durante la bolla delle Dot-com di investire sulle azioni internet, considerate allora come strumento di una piramide di Ponzi destinata al collasso.
Oggi la situazione è diversa e per il guru della finanza i fondamentali rispetto ad allora hanno tutta un'altra consistenza, ragion per cui le società tecnologiche hanno ancora spazio per crescere di valore nella Borsa di New York.
Big Tech: ecco dove sta investendo il fondo Tiger
Da 20 anni dicevamo il fondo Tiger è chiuso ad altri investitori e viene quindi gestito internamente. Nel 1980 Tiger è partito con 8 milioni di dollari ed è arrivato alla fine del millennio a 22 miliardi di dollari in gestione. Dopo il crollo dei titoli internet, il fondo ha deciso di restituire i soldi ai partecipanti e di lavorare con il proprio denaro.
In questo momento gestisce 4 miliardi di dollari effettuando investimenti in altri hedge fund, con un occhio di riguardo soprattutto alle start up legate alla tecnologia. Le due cariche di Presidente e Direttore Operativo che un tempo erano di Julian Robertson, ora sono esercitate dal figlio Alex, ma entrambi hanno la stessa visione sugli investimenti.
In base alla documentazione depositata presso la Securities and Exchange Commission in data 31 marzo, Tiger Management possiede delle quote di partecipazione importanti in Facebook, Google, Microsoft, Micron Technology, Qualcomm e Uber. Alex Robertson ha affermato che le tendenze alla digitalizzazione spingeranno al rialzo le loro azioni, al punto da giustificare nel tempo anche il pagamento di un multiplo più alto rispetto alla media delle azioni quotate nella Borsa statunitense.