Accordo su Brexit: le azioni di società italiane che festeggiano | Investire.biz

Accordo su Brexit: le azioni di società italiane che festeggiano

28 dic 2020 - 16:30

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Il compromesso raggiunto su Brexit tra Londra e Bruxelles ha fatto esultare gran parte delle società italiane che fanno business in Gran Bretagna. Vediamo quali sono

Pur con qualche zona d'ombra lasciata qua e là, l'accordo su Brexit siglato tra l'Unione Europea e la Gran Bretagna è stato accolto positivamente dai mercati, con i principali indici di Borsa che oggi sono tutti quanti nel segno del verde. Dopo 10 mesi di trattative serrate e momenti di grande concitazione e sconforto, finalmente è arrivato il regalo di Natale che tutti si aspettavano.

L'ultimo passo è quello della ratifica da parte del Parlamento Europeo e dell'esecutivo britannico in seduta straordinaria, ma ormai gli eventi non dovrebbero più riservare spiacevoli sorprese. Dal 1° gennaio 2021 quindi sarà soft Brexit e molte imprese italiane hanno tirato un gran sospiro di sollievo, visto che il business nel Regno Unito sarà liberato dal fardello di dazi e tariffe che sarebbero scattati in caso di no-deal.

 

Accordo Brexit: le società italiane avvantaggiate

Ma chi sono le società italiane che possono brindare al patto raggiunto? Uno dei settori che sicuramente ha tratto un grande beneficio è quello delle automobili. Le perdite stimate da parte degli esperti del comparto erano di 110 miliardi per i prossimi 5 anni nel caso di hard Brexit.

Il regime doganale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, introdotto di default, avrebbe congelato 3 milioni di veicoli tra UE e UK. Aziende come Ferrari, che nel Paese di Sua Maestà ha un volume d'affari del 13% della sua attività, hanno scampato un pericolo molto reale.

Grazie alla libera circolazione delle merci, festeggia anche il settore alimentare. L'Italia ha un surplus commerciale di circa 13 miliardi di euro verso il Regno Unito. E uno dei comparti più attivi è quello agroalimentare. Se le trattative fossero saltate, l'onere che tutti gli Stati membri avrebbero dovuto sopportare sarebbe stato di circa 800 milioni di euro solo per i prodotti ortofrutticoli.

Bisogna ricordare che tra i due blocchi vi è uno scambio che ogni anno supera la quota di 55 miliardi di euro. Sul genere alimentare in assoluto, una delle aziende italiane più esposte è La Doria che produce metà del fatturato proprio in Gran Bretagna.

Altre società quotate esultano nei settori più disparati. Leonardo aveva dichiarato che, in caso di hard Brexit, le attività del gruppo non sarebbero state intaccate più di tanto. In realtà Londra viene considerato di fatto un mercato domestico, dal momento che l'azienda ha il 13% dei ricavi in quel territorio e vi lavorano 10.000 persone.

Molto presente in Inghilterra è nel campo delle energie rinnovabili Falck Renewables con circa il 20% del fatturato e in quello dello sport Technogym con il 13% delle vendite. Altre aziende italiane esportano dal 5% al 10% dei ricavi, tra le quali si ricordano Reply, Brembo, Pirelli, Dé Longhi e Guala Closures.

 

Brexit: ancora dubbi per il futuro

Pericolo scampato dunque? Per il momento sembrerebbe di sì, però alcune questioni spinose potrebbero riemergere in futuro e rappresentare terreno di scontro tra le parti, con ovvi riflessi negativi per le società che oggi hanno gioito nei mercati azionari.

Una prima controversia potrà nascere sul fatto che il Regno Unito non dovrà allinearsi alle leggi UE, ma l'Europa potrà agire contro di essa imponendo tariffe in caso di concorrenza sleale. Naturalmente tutto ciò andrà dimostrato davanti a un arbitrato, ma questo non toglie che le frizioni sarebbero pronte a tornare in auge compromettendo il lavoro svolto per garantire la parità di condizioni.

Un altro punto riguarda l'accesso ai mercati finanziari europei da parte di Londra. Nel testo dell'accordo vi sono delle disposizioni standard sui servizi finanziari, ma non ci sono riferimenti sull'equivalenza degli stessi.

Il terzo motivo di attrito è quello più controverso, perché ha rappresentato il nodo principale dell'ingolfamento di tutta la trattativa su Brexit in questi 10 mesi: la pesca. Secondo il compromesso, il Regno Unito e l'UE potranno imporsi dazi a vicenda se dimostreranno che la riduzione all'accesso nelle acque territoriali comporterà danni economici e sociali.

E visto il malcontento generale dei pescatori britannici all'accordo, aumenteranno verosimilmente le pressioni sul Governo guidato da Boris Johnson affinché Londra tenga una linea dura nei confronti di incursioni estere.

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