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Chi vince e chi perde nella guerra del petrolio

12 mar 2020 - 11:27

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Il petrolio continua a scendere stretto tra incertezze economiche, pandemia da coronavirus e guerra del barile tra Russia e Arabia Saudita.

  • Il prezzo del petrolio continua a scendere
  • Tra i vincitori immediati del crollo c'è l'India: la maggior parte dell'energia usata nel paese è importata
  • Molti paesi Opec, invece, rischiano grosso anche in chiave socio economica

Il petrolio continua a scendere stretto tra incertezze economiche, pandemia da coronavirus e guerra del barile tra Russia e Arabia Saudita. Ma in questo caos dettato da tanti fattori contingenti c’è chi riuscirà non solo a salvarsi ma addirittura a vincere: l’India.

Perchè l'India vince nella guerra del petrolio?

Secondo Rajiv Biswas di IHS Markit, il calo dei prezzi dell’energia potrebbe ridurre l’inflazione nel subcontinente asiatico e abbassare il costo delle importazioni. A tutto vantaggio degli acquisti al dettaglio. Da ricordare che la stragrande maggioranza dell’energia usata in India, viene da paesi esteri e, quindi, importata. Quella del petrolio è una situazione molto delicata. Infatti a causa del rallentamento economico accentuatosi con la pandemia del coronavirus, l’Opec, organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, si era detta disposta a tagliare la produzione per stabilizzare le quotazioni del barile. Decisione nettamente rifiutata da Mosca. Da qui la decisione autonoma dell'Arabia Saudita, di scontare il prezzo del proprio petrolio minacciando l’aumento della produzione. In realtà la minaccia in questione potrebbe essere messa in atto dalla fine di marzo, ovvero alla scadenza dell’attuale accordo. Non solo, ma a meno che non si trovi una nuova intesa, ogni paese potrà dall’inizio di aprile attuare una politica differente.

La travagliata storia del petrolio

Il greggio arriva da un periodo molto difficile. Le quotazioni sono state mantenute all’interno di range relativamente bassi da quando è arrivata sul mercato la rivoluzione dello shale oil statunitense. Una rivoluzione che ha portato ad un aumento dell’offerta parallelamente ad un calo della domanda a sua volta derivato dalla crisi economica iniziata nel 2009.  Attualmente il Brent viaggia poco sotto i 34 dollari al barile mentre il Wti poco sopra i 31, il che confermerebbe le previsioni di Goldman Sachs che vede una quotazione di 30 dollari al barile tra il secondo e il terzo trimestre 2020.

Chi perde nella guerra del barile

Ma è proprio lo shale oil, ovvero lo scisto statunitense, che potrebbe pagare il prezzo più alto nell’intensificarsi della guerra del petrolio tra l’Arabia Saudita e la Russia. Allo stato attuale delle cose, infatti, non sembra siano possibili rialzi repentini nell’immediato. Quindi le quotazioni del greggio, molto basse, metteranno ancora sotto pressione i produttori Usa i quali, a causa dei costi di produzione, sono quelli più esposti al rischio default. Di diverso parere il presidente Usa Donald Trump che ha accolto con favore la notizia del crollo del barile, guardando soltanto i vantaggi per i consumatori. Ma allargando la visuale all’intero sistema mondiale di produzione, altre nazioni come Iraq, Algeria e Nigeria (tutti all’interno del gruppo OPEC) vedono le rispettive economie enormemente focalizzare sull’estrazione ed esportazione del petrolio. Un crollo dei prezzi potrebbe peggiorare fortemente una situazione socio economica interna già estremamente precaria.

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